Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

Frammenti di vita..................Racconti & Poesie..................Paco de Luna..................Pensieri sparsi..................CONTATTI

giovedì 30 dicembre 2010

IMPERFETTA / MENTE

Com’è il sottotetto di una casa di Barcellona, in un mezzogiorno d’agosto? La risposta non può che essere una: un forno! A meno che…

mercoledì 8 dicembre 2010

Telegiornale della sera [gianbarly]

“Gentili telespettatori, l’EIAR vi dà la buonasera. Anche oggi, come ormai da molte settimane, cominciamo il nostro telegiornale con le gravi notizie che ci vengono da Auschwitz…”


sabato 13 novembre 2010

L'intruso [gianbarly]

Le mani scorrevano veloci sui tasti del computer, i dialoghi si componevano perfettamente, secondo quanto avevo in mente. Ero isolato in una specie di bolla che mi divideva dal resto del mondo. Stavo scrivendo proprio bene. Era uno di quei rari momenti in cui mi sentivo quasi un vero scrittore. Dentro di me desideravo ardentemente che quel momento non finisse mai. Stavo terminando la storia del Commissario Beretta ed ero veramente fiero del risultato.
In quel momento una finestrella impertinente salì dall’angolo in basso a destra dello schermo.
Ehi! Aspetta un momento!

sabato 25 settembre 2010

Come si fa [gianbarly]

Ci sono storie che è difficile raccontare. Perché sono tue e ti fanno soffrire. Perché le hai nascoste nel ripostiglio della tua mente, sapendo che prima o poi ci dovrai fare i conti. Come si fa a tirarle fuori e darle in pasto a chi vorrà leggerle, superando il pudore che impone di lasciarle coperte, al loro posto? Sinceramente non lo so. E chissà se è veramente pudore o semplice vigliaccheria. Sono qui, a battere controvoglia i tasti del computer, non sapendomi decidere se alla fine vorrò veramente pubblicare quello che sto scrivendo.
Questa storia, poi. Che se l’avessi inventata me ne vergognerei per l’insieme di cose che ha dentro; ma come si fa a pensare che sia credibile un racconto che mescola livide storie familiari con grandi eventi, sopra cui far aleggiare l’ombra cupa della morte prematura. “Come in un libro scritto male …” canta Guccini e mai come questa volta sento che ha ragione. 

giovedì 16 settembre 2010

Paco de Luna - Secondo quadro [gianbarly] La Notte 4(bozza)


Mentre si incamminavano disse a Paolo del suo problema. Lui lo stette a sentire poi disse semplicemente
“Ci penso io”
Francesco si sentì sollevato. Ora doveva concentrarsi solo sulla parte tecnica, sull’intervista. A tutto il resto ci avrebbe pensato Paolo.

sabato 11 settembre 2010

10 euro di vita [gianbarly]

Eccomi qui, sfinita, spiegazzata, mezza rotta, ridotta ad uno straccio, quasi alla fine della mia breve vita.
E pensare che tutto era cominciato così bene! Nei miei primi ricordi sono bella, frusciante, perfettamente stirata, con ancora l’odore della tipografia da cui sono uscita e sto viaggiando sopra un grande furgone diretto alle Poste Centrali assieme a tante altre come me.

sabato 4 settembre 2010

A proposito di barbari [gianbarly]

Alessandro Baricco ed Eugenio Scalfari hanno dato vita ad una serie di articoli sul tema dei “barbari” (Repubblica, 26 agosto e 2 settembre). “La modernità ha concluso il suo percorso culturale durato mezzo millennio ed ha aperto la strada ai nuovi barbari. Sarà compito loro porre le premesse dell’epoca nuova, del nuovo linguaggio artistico che le darà la sua impronta, dei nuovi significati che motiveranno le sue istituzioni”(e.s.). Questi sono i barbari e di questo discutono a distanza i due intellettuali.

venerdì 20 agosto 2010

Passatempi [Euterpe]

Fa caldo oggi a Milano.

Manca ancora un’ora al mio appuntamento di lavoro. Non ho molta fame ma decido lo stesso di mangiare un boccone. Mettendo a tacere coscienza e cellulite opto per il Mac Donald’s.

domenica 15 agosto 2010

Via del Campo (omaggio a Fabrizio De André) [Euterpe]

Il cielo era bianco, minacciava neve.
La gente cominciava ad arrivare e a sistemarsi all’interno della chiesa di Carignano.
Grazia era già dentro, in piedi al lato dell’altare, nascosta dall’oscurità proiettata dalle cappelle.
Era stata la prima ad arrivare. Non voleva restare in ultima fila.
Con le mani magre e nervose continuava a lisciare la gonna nera. Sorrise, pensando che le tirava un po’ sui fianchi. I fianchi, già, quelli che Fabrizio tanto amava.

domenica 8 agosto 2010

Paco de Luna - Secondo quadro [gianbarly]La Notte 3(bozza)

L’incontro con Giuliana aveva messo di buon umore Francesco. Gli piacevano le situazioni nuove, che lo potevano sorprendere e anche fargli scoprire aspetti differenti nelle persone che conosceva. Aveva giudicato male la ragazza.
Si diresse leggero verso il GazPro, uno dei locali più frequentati del lungofiume. Sapeva di trovarci Paolo. A quell’ora era senz’altro a parlare con il barman.

sabato 24 luglio 2010

UN GIORNO [Marius47]



Un giorno amici miei…

Un giorno su questa terra
ritornerà la pace,
Con l’usignol che canta
ed il cannon che tace

SAMIR E SARA [Marius47]

Quella mattina, Samir aveva sonno. Il giorno prima, c’era stata la festa dei cinquanta anni di matrimonio dei suoi nonni. Una di quelle sontuose feste che si davano, all’epoca, ad Alessandria d’Egitto. Già Alessandria, la città cosmopolita dove vivevano, in armonia, persone di tutte le nazionalità e di tutte le religioni. A Samir, era stato concesso “fare tardi” insieme ai grandi.

giovedì 22 luglio 2010

A COLD SEPTEMBER [Marius47]

John was born in Alex (Alexandria-Egypt) the most cosmopolitan town in those times. His mother was Greek; she used to teach in the Gymnasium, his father, Maltese, was an officer of the constabulary of Alex.

sabato 17 luglio 2010

venerdì 16 luglio 2010

(storia) Low cost [gianbarly]

Cinquecento. Ti faccio cinquecento.
Ma come, cristo, se erano ottocento.
I cinesi, caro, i cinesi. Una camicia a quattro. Un pantalone a otto. Manco potrei farlo il campionario.





martedì 22 giugno 2010

Paco de Luna - Secondo quadro [gianbarly] La Notte 1 (bozza)



Francesco, detto da tutti Franchino – tranne che dal suo amico Paolo, che lo chiamava Franco, intendendo in quel modo dimostrargli un affettuoso rispetto – aveva una passione: la notte.  

sabato 19 giugno 2010

Paco de Luna - Primo quadro [gianbarly] TeleCittà 6


Mi ricordai di colpo dell’appuntamento con la donna di Paco. Guardai l’orologio: ero quasi in ritardo. Mentre correvo al bar dove ci dovevamo vedere cercavo disperatamente di fare un po’ di ordine ma finii solo per maledire me stesso.
  

sabato 5 giugno 2010

Giulio è morto [gianbarly]

Giulio è morto. Una sensazione di leggero stordimento, di straniazione, quasi di angoscia mi frulla in corpo. Ma non è per lui. E’ a causa della "vibration" che gli abbiamo voluto dedicare, nonostante le raccomandazioni delle autorità.
Guardo mia moglie, seduta di fronte a me, che si sta lentamente riprendendo. Giulio è, era, il suo fratello più piccolo. Gli ha voluto sempre un bene speciale, lo ha coccolato e protetto, sapendolo così sensibile. E' stato terribile per lei vederlo invecchiare, osservando le sue capacità che si degradavano un giorno dopo l'altro.

martedì 11 maggio 2010

Paco de Luna - Primo quadro [gianbarly] TeleCittà 5


L’indomani andai in ufficio presto, deciso a rivedermi il materiale dell’intervista. Entrando non potei fare a meno di cercare Maria con lo sguardo. Era appoggiata al muretto del box di Luciano, la stessa faccia grigia di sempre. Una quantità di domande mi venivano alla mente, ma le ricacciai indietro. Ero lì per un motivo preciso e non mi potevo concedere distrazioni.Cazzo! C’era Riccardo. Mi fermai, indeciso. Avevo bisogno di quel materiale, ma lui mi avrebbe dato sicuramente il tormento. In più, era impegnato in una vivace discussione con l’Antonia. Lei era in piedi e lo stava chiaramente rimproverando. Lui giocherellava con una penna, dondolandosi sulle zampe posteriori della sedia. La guardava senza porre minimamente attenzione a quello che gli diceva. Faceva scorrere lentamente lo sguardo lungo il corpo della ragazza. Era impudente come al solito e giocava a spogliarla con gli occhi. Lei continuò per un po’ la sua tiritera appassionata, poi a poco a poco si calmò, intercettando finalmente gli sguardi di lui. Allora pensò di essere riuscita a metterlo al suo posto, con i buoni argomenti e con il suo fascino. Alla fine si zittì del tutto e si allontanò. Sul viso aveva stampata la soddisfazione di un’altra vittoria.
Riccardo fece alle sue spalle una mossa di dileggio, continuando a dondolarsi sulla sedia. Evidentemente mi aveva visto, perché ora si reggeva in equilibrio appoggiando ostentatamente il piede al mio cassetto.

La voce di Annamaria mi scosse dal blocco che mi aveva preso.
“Franchino, puoi venire un momento?”
Entrai nel suo box, richiusi la porta e mi sedetti davanti a lei.
Non mi diede il tempo di mettermi sulla difensiva.
“Mi devi coprire questa notizia” e mi allungò un’ansa.
Per prendere tempo mi misi a leggere con attenzione. Si trattava di un’aggressione ad un barbone. Il poveraccio era stato preso di mira da una banda di teppisti. L’hanno colpito con dei bastoni. Lui ha provato a difendersi, poi è scappato; ma gli hanno dato la caccia finché non l’hanno ritrovato. Lui è scappato ancora. E loro l’hanno ritrovato di nuovo. Hanno continuato a picchiarlo, inseguirlo e picchiarlo fino all’arrivo della polizia, che li ha arrestati.
Il barbone non era morto, ma sarebbe rimasto segnato per sempre da quell’esperienza.
Stavo cominciando a chiedermi come mai Annamaria avesse pensato a me quando arrivai ai nomi: il primo della lista era Pierfrancesco, suo figlio.
Il figlio di Annamaria.
“Quel” figlio. Il figlio perfetto per definizione. L’esempio, la pietra di paragone per tutti i figli. Quello che non si poteva neppure pensare di mettere in discussione, tanti erano i suoi meriti. Già alle scuole medie era il migliore. Vinceva concorsi, anche a livello nazionale. Faceva sport ed aveva un sacco di interessi. Ed era brillante in ogni cosa. Alla tele, quando se ne parlava, c’erano i figli e poi c‘era Pierfrancesco. Da sempre.
Anche Maria di fronte a lui si era arresa.
“Se avessi un figlio, vorrei che fosse come Pierfrancesco!”

Feci quasi un balzo sulla sedia e, senza controllarmi, la guardai smarrito. Lei sostenne il mio sguardo con la solita determinazione, poi si alzò andando a chiudere la porta. Ritornò lentamente alla scrivania e, con un soffio di voce, mi disse:
“Sì, è lui”
Dalla sua faccia era sparita ogni traccia di quella sicurezza a cui ci aveva abituati. Mentre si afflosciava nella poltrona, i suoi occhi si velarono di lacrime. Guardò fuori, attraverso i vetri divisori, per assicurarsi che nessuno potesse vederci, poi mi prese d’impeto le mani e le strinse forte.
“Io… Io non so che fare! Devo dare la notizia, capisci? In tanti anni non mi avete mai visto censurare qualcosa. Ho sempre passato tutto quello che andava detto, anche le cose scomode. Solo io so quante pressioni ho avuto dalla direzione, quanti mi hanno telefonato per cercare di addomesticare una notizia. Mi faccio vanto di essere indipendente da tutto e da tutti. Io…”. Non riuscì a concludere la frase.
Ricacciò indietro un singhiozzo e riprese
“Lo capisci? Lo capisci, vero, che quelli lì fuori non aspettano altro per farmi a pezzi! E’ così difficile rimanere a galla! Per stare al mio posto bisogna saper usare tutto quello di cui si dispone. Le conoscenze, la capacità di essere sul pezzo. Anche in redazione ci si deve costruire una credibilità, un ascendente, non ci si può far vedere deboli o indecisi! Se non sei il più forte, se non lo dimostri ogni giorno, finisci col soccombere. Sapessi quali sacrifici, a quale prezzo difendo ogni giorno la mia posizione! Lo vedi a che ora vado via la sera, sempre pronta a tornare se c’è un cazzo di problema! Lo so io quante volte ho dovuto rinunciare a me stessa, a mio marito e sì, anche a mio figlio… E dover sempre dire quanto è eccezionale, perché anche su questo ti giudicano! … Io che ho dato tutto, per questo posto di merda! Sì, di merda… Con il Direttore che se ne sta ben lontano da qui, troppo preso a districarsi fra le sue amanti! Ma lo sai che se non ci fossi io, la barca andrebbe a fondo in pochi mesi? E loro cosa fanno? Non aspettano altro che un mio passo falso, un appiglio qualsiasi per farmi fuori! Ti prego Franchino, io ora devo correre via, lo capisci, mi metto nelle tue mani…”
Mi ritirai piano dalla sua stretta, cercando di assumere un’espressione adeguata alla situazione. Lei si ricompose, riprendendo quasi di colpo l’abituale controllo e mi liquidò dicendo
“Voglio il servizio per il notiziario delle otto!” Era tornata quella di sempre.

Alle sei riuscii a consegnare il pezzo a Paolo per il montaggio. Sentivo un confuso senso di vergogna, ma cercavo di dire a me stesso che, in fondo, ero stato onesto. Avevo fatto fare le riprese dei luoghi dove era avvenuta l’aggressione e raccolto le dichiarazioni delle forze dell’ordine. Pierfrancesco non era mai stato nominato. Nel mio commento non mi ero soffermato sugli aggressori, ma avevo fatto un lungo discorso sul “branco”. In fondo la notizia era stata data, dedicandole un tempo consistente.

giovedì 22 aprile 2010

Mastectomia preventiva [gianbarly]

Lo sguardo fisso, nervoso, la voce che si fa largo a fatica nella gola stretta dal morso dell’angoscia.
“Allora, dottore, me lo dica… ho il cancro?”


sabato 17 aprile 2010

La gloria di domani - racconto [gianbarly]

Le mani appoggiano con cura il pallone sull’erba, cercando il punto migliore, quello che non tradisce. Piano, senza fretta, costruiscono un piccolo nido nel terreno, che trattenga solo un poco la palla. Il gesso bianco del dischetto sporca appena la sfera lucida.



Paco de Luna - Primo quadro [gianbarly] TeleCittà 4


Gli avvenimenti si mescolavano nella mia mente. Alla fine avevo fatto quella benedetta intervista. Paolo me l’aveva montata e, tirando un gran sospiro, avevo consegnato la cassetta a Maria. Il mercoledì era passato senza che succedesse nulla di particolare. Avevo sperato in un ringraziamento, una lode o almeno un commento non negativo. Mi dovetti accontentare di non avere critiche.Poi, quando già la questione si stava affievolendo dentro di me, ecco quel biglietto. Sentivo un bisogno disperato di stare un po’ solo. Quella sera uscii senza cercare il mio amico Paolo. Girai a lungo in macchina, nelle strade lungo il fiume, le più piene di vita. Guidavo senza una meta, per cercare di allentare la tensione che mi sentivo dentro e fare un po’ di ordine. Ma più mi sforzavo di analizzare la questione, più i pensieri mi turbinavano a caso nel cervello. Ceravo di risolvermi ad affrontare il problema e invece mi ritrovavo a pensare ad altro. Man mano che passavo davanti ai locali ricostruivo dentro di me la loro mappa. Paolo mi aveva insegnato, sera dopo sera, a riconoscerli, a capire le logiche sotterranee che li rendevano alla moda. Ad individuare quelli giusti per le diverse occasioni, per andarci con gli amici o per portarci una ragazza, quelli da evitare, quelli troppo su o troppo giù. Quelli per gay, o troppo in odore di malavita. Quelli in cui potevi tirare mattino o dove andare a cercare un brivido più intenso. Dove poterti rifugiare per tirarti via da una storia che ti faceva soffrire e dove invece cercarne una nuova.
La città ti metteva a disposizione la gamma completa delle possibilità, bastava saperle riconoscere ed offrirsi a loro senza remore. In questo Paolo era una guida insostituibile. Ti raccontava con semplicità la storia di ogni locale. Conosceva tutti e trattava ciascuno secondo un suo preciso canone.
Mentre ragionavo fra me e me di queste cose mi allontanavo dal centro, come alla ricerca di posti più defilati. Infine mi risolsi ad uscire dalla città. Guidai per un’ora abbondante per vialoni semideserti, lasciandomi portare dai pensieri che man mano mi si affacciavano alla mente. La cosa che mi aveva tormentato era ormai sepolta in qualche recesso del cervello e non facevo niente per risvegliarla.
Ad un certo punto mi venne in mente che, non lontano da dove mi trovavo, c’era un posto che avevo frequentato quando andavo a scuola. Era un bowling, dove andavamo spesso a dispetto della lontananza perché a quel tempo era gestito dal padre di un nostro compagno e potevamo fare qualche partita gratis. Mi venne la curiosità di rivederlo e, sotto sotto, forse la speranza di ritrovare qualche volto sbiadito nella memoria.
Parcheggiai la macchina ed entrai con un senso di lieve euforia, come quando la situazione prende una piega insperata.
Il locale era parecchio cambiato. Del resto ne avevo avuto notizie fresche, ovviamente da Paolo. Ne avevamo parlato per un suo curioso aspetto. Negli ultimi anni, dopo il cambio di gestione, aveva sviluppato, per così dire, una duplice personalità. Quasi un dottor Jekill e mister Hyde del divertimento. Aiutato, in questo, dalla conformazione degli ambienti. Da una parte, dove c’era un ampio salone con grandi vetrate, era il bowling di sempre, per lo più frequentato da compagnie di ragazzi e ragazzini numerose e vocianti. C’era poi un’ala più piccola e raccolta che partiva dal lato destro in fondo alle piste, dove era stato ricavato il posto per una decina di tavolini. Il bancone del bar era in mezzo, a separare i due ambienti. L’atmosfera intima ed il fatto di essere sufficientemente fuori mano vi aveva fatto affluire prima delle coppie in cerca di luoghi defilati, poi sempre di più quelli che andavano in cerca di incontri fugaci, senza troppe complicazioni. Era diventato il posto più in voga per chi, donne e uomini, era in cerca di avventure senza futuro. I proprietari del locale avevano incoraggiato questa squallida tendenza separando sempre di più le due parti. Ora il locale era una specie di Giano bifronte. Uno poteva entrare sul davanti, fare le sue partite, divertirsi tutta la sera senza minimamente accorgersi di quell’altro mondo che pulsava a pochi passi da lui.

Mi guardai intorno e – fortuna! – vidi un vecchio amico. Ci salutammo calorosamente e lui mi invitò ad unirmi alla sua compagnia. Giocavamo e ricordavamo i vecchi tempi. Aveva amici simpatici e finii per trascorrere una piacevole serata.
Quando loro uscirono andai al bancone del bar per farmi una bibita. Ero davvero sereno e volevo godermi quello stato ancora un po’. Mi appollaiai su uno sgabello cominciando a sorseggiare la mia bevanda. Il bancone era fatto a ferro di cavallo, in modo che il barista potesse agevolmente servire sia la parte del bowling sia i frequentatori dell’altro ambiente. Gli scaffali con le bottiglie dei liquori mi impedivano di vedere cosa succedeva dall’altra parte, tranne che per l’ultima parte del bancone. Io, in quel momento, non avevo la minima curiosità di quelle storie. Appartenevano ad un mondo che non riuscivo minimamente a capire, che rifiutavo e che mi dava una grande tristezza. E non avrei dato nessun importanza a quell’aspetto del locale se il mio sguardo non avesse colto, proprio nella porzione di bancone che potevo vedere, un volto familiare.
Proprio lì, in mezzo a due uomini, c’era Maria.
La prima cosa che mi colpì fu la sua espressione. Era trasformata. In ufficio aveva sempre un’aria livida, sfinita, che tradiva un eterno rancore. Di fatto non avevo mai pensato a lei come ad un essere umano. La vedevo ora per la prima volta, lo sguardo acceso, i movimenti a scatto, un po’ accelerati, la risata forte. Era una donna non più giovanissima, con le sue storie e chissà quali aspirazioni, sospesa in quell’età in bilico fra ciò che è stato e quello che non sarà più. Chiacchierava fittamente con i due uomini, con ampi gesti delle mani. Ogni tanto buttava la testa all’indietro, prorompendo in una sonora risata. I due le stavano addosso come cani in calore. Ad un certo punto quello più anziano le mise una mano sul seno. Lei fece un debole segno di resistenza, ma poi lo lasciò fare. Continuò a parlare come se niente fosse. Dopo un po’ avvicinò la bocca all’orecchio dell’altro uomo per dirgli qualcosa. La sua mano sparì lentamente sotto il bancone mentre lo fissava con aria divertita. L’espressione dell’uomo cambiò di colpo. Stettero così per qualche istante poi cominciarono a ridere guardandosi negli occhi. Maria allora si girò verso quello che le aveva palpato il seno e di nuovo affondò la mano verso il basso, ripetendo lo stesso copione. L’uomo era a disagio e si dimenava sullo sgabello. Non guardava verso Maria, ma dava fugaci occhiate intorno. Lei, divertita dalla sua reazione, prolungava la sua azione, accentuano apposta i movimenti della mano e sussurrando continuamente all’orecchio dell’uomo. Poi si rizzò di colpo più che poteva, in modo da sovrastare i due e alzò le braccia davanti al viso, roteando le mani e gli occhi, come a mettere in fila una serie di elementi. Fece alcune considerazioni ad alta voce, aumentando l’imbarazzo del secondo uomo, anche se nessuno poteva sentirli. Ammiccò più volte, ridendo a mezza voce. Alla fine puntò gli indici paralleli verso quello alla sua destra. Lui annuì soddisfatto. Lei diede un buffetto all’altro, che alzò le spalle. I tre si alzarono allontanandosi da me. Maria uscì dal locale tirandosi dietro la sua preda.
Poco dopo uscii anch’io, con la testa in fiamme. In bocca avevo il sapore metallico della birra a pressione. Ciò che avevo visto mi lavorava dentro, facendomi star male. Non riuscivo proprio a vedere la cosa con distacco. Eppure non avevo mai provato per Maria alcun interesse – non dico a livello affettivo – ma neppure con cose come simpatia o antipatia. L’avevo semplicemente catalogata fra le piccole noie che ti possono capitare. Non mi consideravo neppure un bacchettone; ero, anzi, incline ad accettare tutte le forme di espressione delle tendenze sessuali, senza alcuna preclusione. No, non era quello il punto. In realtà, non era tanto il disgusto per quella scena, quanto la mia totale incapacità di afferrarne il senso. Dio mio, Maria non aveva bisogno di quello! Non poteva averne bisogno! Mi tormentai per buona parte della notte, incapace di archiviare la cosa fra le evenienze più o meno strane della vita. Finii per addormentarmi sfinito.

Paco de Luna - Primo quadro [gianbarly]TeleCittà 3


Ma, in realtà, anche tutta la faccenda dell'intervista mi è sempre apparsa assai confusa.
Le interviste, lì da noi, le aveva sempre fatte Xavier, un free-lance che collaborava da tempo con TeleCittà. Aveva un suo spazio fisso, il mercoledì in seconda serata. Era uno dei pochi programmi prodotti direttamente da noi che avesse un buon ascolto. Quindi Xavier era ben visto dalla direzione e questo suo appuntamento molto importante per la tele.
Si diceva che fosse il pupillo di Annamaria, tanto che, ad un certo punto, si sparse la voce che fossero amanti. Per qualche settimana non si parlò d’altro. L’Antonia, con la sua falcata, si era presa la briga di andare in giro per tutti i box a spargere la novella.
Maria da lontano la osservava attentamente, come a dirigerne le mosse. Ma quando fu poi interpellata disse:
“No! Non ci posso credere! Annamaria non è il tipo.”
E aggiunse subito, sottolineando le parole:
“ Anche se… beh, poi in fondo che male ci sarebbe? Purché tengano separate le loro manfrine dalle questioni di lavoro…”
Annamaria non ne parlò mai. Sembrava ignorare completamente quello che si diceva. Evitò accuratamente l’argomento, ma, in quei giorni, si diede da fare ad organizzare una cena di tutto lo staff.
“Giusto una cosina per stare un po’ tutti insieme, senza lo stress del lavoro!”
E si presentò con il marito cui restò appiccicata tutta la serata. Maria buttò lì qualche commento, senza però avere molto seguito.
Le chiacchiere smisero di colpo.

Comunque Xavier era assolutamente intoccabile e gli si perdonavano cose che per altri non sarebbero passate senza conseguenze. Come una certa tendenza a fare di testa sua, senza rispettare minimamente le esigenze della tele. Arrivava ad un’ora imprecisata del giorno, aereo come una folata di vento. Era come se, improvvisamente, si fossero spalancate tutte le finestre e il fuori si precipitasse dentro rimescolando gli odori. Faceva uno dei suoi larghi sorrisi, che si rifletteva nello scuro dei suoi occhi – forse un retaggio dei suoi avi mediorientali – e in quattro e quattr’otto se n’era già andato. La sua meta era la stanza di Paolo, cui consegnava il materiale, accompagnato da qualche frase smozzicata di istruzioni. E Paolo immancabilmente gli faceva un ottimo lavoro. La cosa funzionava e… pazienza se spesso arrivava all’ultimo tuffo, facendo scorrere un brivido freddo lungo la schiena di Maria, che era responsabile del palinsesto.
Ogni tanto spariva dalla circolazione. Tre, quattro, anche cinque settimane di seguito, senza che nessuno sapesse dov’era. Allora faceva in anticipo le sue interviste e ce le portava tutte assieme, prima di partire. In questo modo il programma era salvo e Annamaria poteva continuare a sostenerlo, ignorando le frecciate velenose di Maria.

Xavier mi aveva chiamato, una mattina, per chiedermi di passare da lui a prendere degli RVM. Li portai in studio, e mi stavo dirigendo verso la stanza di Paolo, quando incappai nelle Tre Grazie. Al solito, erano ferme in mezzo al corridoio lungo, a parlare tra di loro. L’Antonia era infervorata a spiegare chissà cosa, con Maria che cercava vanamente di arginarla. Annamaria le guardava con un certo distacco e, come mi vide passare, mi chiese secca:
“Dove vai, Franchino?”
“Porto gli RVM di Xavier a Paolo” dichiarai, sentendomi indagato. Poi aggiunsi:
“Sono tre, perché lui…, Xavier intendo, sta fuori per un po’”
“Sì, certo, me lo ha detto. Sta via per un mese”
Maria saltò subito su:
“Come, un mese? Ma resta scoperta una settimana!”
Annamaria, scrollò la testa con tranquillità:
“Vorrà dire che per una volta qualcun altro farà il suo programma. Che problema c’è?”
Maria sembrò ricevere uno schiaffo in pieno viso. Boccheggiò per un attimo, poi rianimandosi, disse tutto di un fiato:
“Certo che sì! Potrebbe farlo proprio il nostro Franchino!”

Questa volta lo schiaffo l’avevo preso io. Restai inebetito senza sapere cosa fare. Aprii e chiusi due o tre volte la bocca senza che ne uscisse alcun suono.
Ma nessuno se ne accorse. Le tre donne si guardavano a vicenda, aspettando la mossa successiva. Annamaria soppesò appena la proposta, poi disse:
“Ok. Mi sembra una cosa sensata. Sì. Lo farà Franchino” Si girò verso di me e disse, con un leggero tono canzonatorio:
“Così ci farai vedere quello di cui sei capace, vero?”.
Annuii, ma dentro di me avevo una grande confusione.

Quella sera Paolo si incaricò di diradarmela almeno un poco. Uscivo spesso con lui, ci stavo bene insieme. Andavamo a scoprire locali sempre nuovi, e lui mi introduceva ai misteri di questo o quell’altro ambiente. Sapeva una infinità di cose, molte più di me, pur essendo solo di poco più grande. Ed io lo stavo a sentire, grato di avere una fonte preziosa da cui imparare.
“Cerca di seguirmi” disse, guardandomi fisso negli occhi, come quando voleva farmi assimilare un concetto.
“Xavier è il pupillo di Annamaria”
“Questo lo so!” protestai.
“Sì, ma lei lo deve continuamente difendere, perché lì dentro c’è un sacco di gente a cui quel programma fa gola. Maria non perde occasione per cercare di mettere Xavier in cattiva luce!”
“Dici che è stata lei a mettere in giro quelle voci?”
“Tu che ne dici?” Poi, senza aspettare la mia risposta:
“Maria sta aspettando da tempo l’occasione per far fuori Xavier e mettere al suo posto Luciano… Capito?”
“Luciano, quello della sportiva…?”
“Proprio lui. Quei due hanno un patto. Forse hanno avuto anche una storia. In ogni caso fanno fronte comune in tutte le situazioni.”
Mi diede qualche secondo per afferrare la situazione e poi:
“E tu oggi le hai portato quell’occasione… Solo che Luciano si è messo momentaneamente fuori gioco da solo, pensando bene di rompersi una gamba proprio in questi giorni!”
“E… ma io cosa c’entro?”
“Franco! Benedetto testone! Quando Annamaria ha proposto di dare il programma – solo per una volta! – a qualcun altro, Maria non solo non ne ha potuto approfittare, ma ha anche subodorato immediatamente il pericolo: se lasciava ad Annamaria la possibilità di indicare qualcuno per sostituire Xavier, - qualcuno dei soliti nomi, voglio dire – Luciano sarebbe stato bruciato per sempre!”
“Ho capito” sospirai “ha fatto il mio nome perché non conto niente lì dentro!”
Paolo mi diede un buffetto sincero “E Annamaria ha accettato perché, se la cosa va male, la colpa sarà di Maria, non sua. Ma tu vedila in un altro modo: in fondo hai la tua buona occasione!”

Passai la settimana seguente in uno stato di tranche. L’incarico mi piaceva, e volevo fare bella figura. Ma ero intimorito dall’ombra di Xavier e da tutte quelle trame che mi aveva svelato Paolo. E non sapevo risolvermi a lavorare al progetto.

Poi, un giorno che ero andato all’aeroporto a prendere un’ospite che arrivava da fuori, incrociai Xavier che si dirigeva al settore Partenze.
Lo chiamai.
“Ciao, Franchino, che fai qui?” Poi di seguito “Sai, sono in partenza per il Centramerica! Stasera sono a Managua!”
Gli indicai il bar. Si girò, approvando:
“Un caffè? Ma sì, ho ancora qualche minuto!”
Ci sedemmo. Mentre ordinavo i caffè lui sistemò il suo numeroso bagaglio intorno al nostro tavolino. Lo osservavo di sbieco, ringraziando il cielo per quell’occasione insperata.
“Sai Franchino, è la terza volta che vado laggiù! Ah, la cosa più bella del mondo!” I suoi occhi brillavano in maniera particolare “Ho un contratto. Faccio ricognizioni aeree”
Vide la mia perplessità.
“No, no. Niente interviste, laggiù. Solo io, il pilota e la giungla. Voliamo per ore sopra gli alberi, e spesso senza scambiarci che qualche cenno. Una meraviglia, ti dico!”
Bevve un po’ di caffè.
“C’è una compagnia, una grossa compagnia di legnami che mi paga”
Mi guardò e io mi sentivo come un bambino a cui un adulto rivela una parte di quel mondo che solo in seguito sarebbe stato anche suo.
“Io devo fare delle riprese. Dall’alto, è ovvio. Loro devono sapere quanti alberi ci sono in una determinata zona, di che tipo, eccetera… Insomma, un sacco di informazioni, per poi poter fare i loro conti. E io gli filmo tutto. Non ti credere, non è mica facile! E no,caro mio. Bisogna avere occhio! Volare bassi e stare attenti alla luce, alle vibrazioni. Eh! Un sacco di cose!”
Si fermò un attimo, sprofondandosi completamente nella poltroncina.
Deglutii, poi feci un respiro profondo.
“Senti…”
Lui proruppe una risata, mentre con la mano faceva il verso dell’aereo, mimando picchiate, risalite e cabrate.
Andò avanti per qualche secondo, poi mi guardò.
“Sai, io devo riprendere anche le aree dove hanno già tagliato gli alberi. Dovresti vedere con i tuoi occhi. Distese e distese di alberi, senza poter vedere un centimetro di terra… e poi di colpo, il nulla! Grandi buchi quadrati, chilometri di terreno senza più nessuna forma di vita. Loro, quelli della compagnia, mi hanno incaricato soprattutto per questo. Devono documentare allo Stato quello che fanno. Quanti alberi abbattono, dove, com’è la situazione dopo. Hanno dei vincoli precisi, sai. Possono abbattere solo a determinate condizioni. E poi devono immediatamente reimpiantare lo stesso numero di alberi. Gli altri, quelli del governo, intendo, non ci vanno mica laggiù, non ci pensano nemmeno. Troppo scomodo!. Così è la compagnia a dover documentare che tutto sia fatto secondo gli accordi”
Mi guardò con aria grave. Poi scoppiò nuovamente a ridere:
“E io devo fare in modo che il governo abbia le informazioni nel modo giusto! Giusto per loro, ovvio!” Finì il suo caffè.
“Se la guardi bene, è divertente! Situazione fantastica! Va trovato il modo di far apparire piccole le aree tagliate e grandi quelle ancora vergini… Bisogna fare delle riprese radenti, con il sole dal lato giusto. Allora io dico al pilota di andare più giù, sempre più vicino a terra. Lui bestemmia, maledicendo il giorno che mi ha incontrato, ma poi fa esattamente quello che gli chiedo. Uno spasso!”
“Ma..” provai a interloquire.
Lui continuò, lieve come sempre:
“La volta scorsa dovevo fare in modo che gli alberi ripiantati sembrassero veramente tanti, e fitti. Quelli dl governo rompevano le palle per via di certe voci messe in giro dai soliti mestatori. Abbiamo provato più e più volte, ma il risultato era scadente. Quelli della compagnia si sono dimostrati pazienti e mi incoraggiavano a fare meglio. Allora ho chiesto al pilota di volare ancora più in basso, restando sempre al margine della zona tagliata. Ho impostato la camera nel modo giusto, ed è venuta una ripresa con i fiocchi! - Stai giù – gli dicevo – stai giù! Ancora un po’! -. Alla fine ha ripreso quota così vicino agli alberi che abbiamo toccato delle fronde con la punta di un’ala!”
Poco dopo ci siamo salutati, senza che io avessi trovato il coraggio di dirgli che avevano affidato a me l’incarico di sostituirlo.

Paco de Luna - Primo quadro [gianbarly] TeleCittà 2


Pochi giorni dopo l'intervista a Paco de Luna, trovai un biglietto sulla mia scrivania.
A dire il vero non è che la scrivania fosse proprio mia.

giovedì 15 aprile 2010

Paco de Luna - Primo quadro [gianbarly] TeleCittà 1


TeleCittà

L'Antonia avanzava con la sua falcata caratteristica lungo l'ampio corridoio centrale. Aveva un corpo snello, slanciato, che avrebbe potuto farla sembrare bella se non fosse stato per la faccia, caratterizzata da denti leggermente irregolari e decisamente sporgenti, che le davano una imbarazzante sembianza equina. Portava una massa disordinata di capelli crespi, perennemente in movimento. Da come li esibiva si capiva che lei ne era molto fiera. A dispetto della realtà, si considerava una bella donna.