L’indomani andai in ufficio presto, deciso a rivedermi il materiale dell’intervista. Entrando non potei fare a meno di cercare Maria con lo sguardo. Era appoggiata al muretto del box di Luciano, la stessa faccia grigia di sempre. Una quantità di domande mi venivano alla mente, ma le ricacciai indietro. Ero lì per un motivo preciso e non mi potevo concedere distrazioni.Cazzo! C’era Riccardo. Mi fermai, indeciso. Avevo bisogno di quel materiale, ma lui mi avrebbe dato sicuramente il tormento. In più, era impegnato in una vivace discussione con l’Antonia. Lei era in piedi e lo stava chiaramente rimproverando. Lui giocherellava con una penna, dondolandosi sulle zampe posteriori della sedia. La guardava senza porre minimamente attenzione a quello che gli diceva. Faceva scorrere lentamente lo sguardo lungo il corpo della ragazza. Era impudente come al solito e giocava a spogliarla con gli occhi. Lei continuò per un po’ la sua tiritera appassionata, poi a poco a poco si calmò, intercettando finalmente gli sguardi di lui. Allora pensò di essere riuscita a metterlo al suo posto, con i buoni argomenti e con il suo fascino. Alla fine si zittì del tutto e si allontanò. Sul viso aveva stampata la soddisfazione di un’altra vittoria.
Riccardo fece alle sue spalle una mossa di dileggio, continuando a dondolarsi sulla sedia. Evidentemente mi aveva visto, perché ora si reggeva in equilibrio appoggiando ostentatamente il piede al mio cassetto.
La voce di Annamaria mi scosse dal blocco che mi aveva preso.
“Franchino, puoi venire un momento?”
Entrai nel suo box, richiusi la porta e mi sedetti davanti a lei.
Non mi diede il tempo di mettermi sulla difensiva.
“Mi devi coprire questa notizia” e mi allungò un’ansa.
Per prendere tempo mi misi a leggere con attenzione. Si trattava di un’aggressione ad un barbone. Il poveraccio era stato preso di mira da una banda di teppisti. L’hanno colpito con dei bastoni. Lui ha provato a difendersi, poi è scappato; ma gli hanno dato la caccia finché non l’hanno ritrovato. Lui è scappato ancora. E loro l’hanno ritrovato di nuovo. Hanno continuato a picchiarlo, inseguirlo e picchiarlo fino all’arrivo della polizia, che li ha arrestati.
Il barbone non era morto, ma sarebbe rimasto segnato per sempre da quell’esperienza.
Stavo cominciando a chiedermi come mai Annamaria avesse pensato a me quando arrivai ai nomi: il primo della lista era Pierfrancesco, suo figlio.
Il figlio di Annamaria.
“Quel” figlio. Il figlio perfetto per definizione. L’esempio, la pietra di paragone per tutti i figli. Quello che non si poteva neppure pensare di mettere in discussione, tanti erano i suoi meriti. Già alle scuole medie era il migliore. Vinceva concorsi, anche a livello nazionale. Faceva sport ed aveva un sacco di interessi. Ed era brillante in ogni cosa. Alla tele, quando se ne parlava, c’erano i figli e poi c‘era Pierfrancesco. Da sempre.
Anche Maria di fronte a lui si era arresa.
“Se avessi un figlio, vorrei che fosse come Pierfrancesco!”
Feci quasi un balzo sulla sedia e, senza controllarmi, la guardai smarrito. Lei sostenne il mio sguardo con la solita determinazione, poi si alzò andando a chiudere la porta. Ritornò lentamente alla scrivania e, con un soffio di voce, mi disse:
“Sì, è lui”
Dalla sua faccia era sparita ogni traccia di quella sicurezza a cui ci aveva abituati. Mentre si afflosciava nella poltrona, i suoi occhi si velarono di lacrime. Guardò fuori, attraverso i vetri divisori, per assicurarsi che nessuno potesse vederci, poi mi prese d’impeto le mani e le strinse forte.
“Io… Io non so che fare! Devo dare la notizia, capisci? In tanti anni non mi avete mai visto censurare qualcosa. Ho sempre passato tutto quello che andava detto, anche le cose scomode. Solo io so quante pressioni ho avuto dalla direzione, quanti mi hanno telefonato per cercare di addomesticare una notizia. Mi faccio vanto di essere indipendente da tutto e da tutti. Io…”. Non riuscì a concludere la frase.
Ricacciò indietro un singhiozzo e riprese
“Lo capisci? Lo capisci, vero, che quelli lì fuori non aspettano altro per farmi a pezzi! E’ così difficile rimanere a galla! Per stare al mio posto bisogna saper usare tutto quello di cui si dispone. Le conoscenze, la capacità di essere sul pezzo. Anche in redazione ci si deve costruire una credibilità, un ascendente, non ci si può far vedere deboli o indecisi! Se non sei il più forte, se non lo dimostri ogni giorno, finisci col soccombere. Sapessi quali sacrifici, a quale prezzo difendo ogni giorno la mia posizione! Lo vedi a che ora vado via la sera, sempre pronta a tornare se c’è un cazzo di problema! Lo so io quante volte ho dovuto rinunciare a me stessa, a mio marito e sì, anche a mio figlio… E dover sempre dire quanto è eccezionale, perché anche su questo ti giudicano! … Io che ho dato tutto, per questo posto di merda! Sì, di merda… Con il Direttore che se ne sta ben lontano da qui, troppo preso a districarsi fra le sue amanti! Ma lo sai che se non ci fossi io, la barca andrebbe a fondo in pochi mesi? E loro cosa fanno? Non aspettano altro che un mio passo falso, un appiglio qualsiasi per farmi fuori! Ti prego Franchino, io ora devo correre via, lo capisci, mi metto nelle tue mani…”
Mi ritirai piano dalla sua stretta, cercando di assumere un’espressione adeguata alla situazione. Lei si ricompose, riprendendo quasi di colpo l’abituale controllo e mi liquidò dicendo
“Voglio il servizio per il notiziario delle otto!” Era tornata quella di sempre.
Alle sei riuscii a consegnare il pezzo a Paolo per il montaggio. Sentivo un confuso senso di vergogna, ma cercavo di dire a me stesso che, in fondo, ero stato onesto. Avevo fatto fare le riprese dei luoghi dove era avvenuta l’aggressione e raccolto le dichiarazioni delle forze dell’ordine. Pierfrancesco non era mai stato nominato. Nel mio commento non mi ero soffermato sugli aggressori, ma avevo fatto un lungo discorso sul “branco”. In fondo la notizia era stata data, dedicandole un tempo consistente.
Riccardo fece alle sue spalle una mossa di dileggio, continuando a dondolarsi sulla sedia. Evidentemente mi aveva visto, perché ora si reggeva in equilibrio appoggiando ostentatamente il piede al mio cassetto.
La voce di Annamaria mi scosse dal blocco che mi aveva preso.
“Franchino, puoi venire un momento?”
Entrai nel suo box, richiusi la porta e mi sedetti davanti a lei.
Non mi diede il tempo di mettermi sulla difensiva.
“Mi devi coprire questa notizia” e mi allungò un’ansa.
Per prendere tempo mi misi a leggere con attenzione. Si trattava di un’aggressione ad un barbone. Il poveraccio era stato preso di mira da una banda di teppisti. L’hanno colpito con dei bastoni. Lui ha provato a difendersi, poi è scappato; ma gli hanno dato la caccia finché non l’hanno ritrovato. Lui è scappato ancora. E loro l’hanno ritrovato di nuovo. Hanno continuato a picchiarlo, inseguirlo e picchiarlo fino all’arrivo della polizia, che li ha arrestati.
Il barbone non era morto, ma sarebbe rimasto segnato per sempre da quell’esperienza.
Stavo cominciando a chiedermi come mai Annamaria avesse pensato a me quando arrivai ai nomi: il primo della lista era Pierfrancesco, suo figlio.
Il figlio di Annamaria.
“Quel” figlio. Il figlio perfetto per definizione. L’esempio, la pietra di paragone per tutti i figli. Quello che non si poteva neppure pensare di mettere in discussione, tanti erano i suoi meriti. Già alle scuole medie era il migliore. Vinceva concorsi, anche a livello nazionale. Faceva sport ed aveva un sacco di interessi. Ed era brillante in ogni cosa. Alla tele, quando se ne parlava, c’erano i figli e poi c‘era Pierfrancesco. Da sempre.
Anche Maria di fronte a lui si era arresa.
“Se avessi un figlio, vorrei che fosse come Pierfrancesco!”
Feci quasi un balzo sulla sedia e, senza controllarmi, la guardai smarrito. Lei sostenne il mio sguardo con la solita determinazione, poi si alzò andando a chiudere la porta. Ritornò lentamente alla scrivania e, con un soffio di voce, mi disse:
“Sì, è lui”
Dalla sua faccia era sparita ogni traccia di quella sicurezza a cui ci aveva abituati. Mentre si afflosciava nella poltrona, i suoi occhi si velarono di lacrime. Guardò fuori, attraverso i vetri divisori, per assicurarsi che nessuno potesse vederci, poi mi prese d’impeto le mani e le strinse forte.
“Io… Io non so che fare! Devo dare la notizia, capisci? In tanti anni non mi avete mai visto censurare qualcosa. Ho sempre passato tutto quello che andava detto, anche le cose scomode. Solo io so quante pressioni ho avuto dalla direzione, quanti mi hanno telefonato per cercare di addomesticare una notizia. Mi faccio vanto di essere indipendente da tutto e da tutti. Io…”. Non riuscì a concludere la frase.
Ricacciò indietro un singhiozzo e riprese
“Lo capisci? Lo capisci, vero, che quelli lì fuori non aspettano altro per farmi a pezzi! E’ così difficile rimanere a galla! Per stare al mio posto bisogna saper usare tutto quello di cui si dispone. Le conoscenze, la capacità di essere sul pezzo. Anche in redazione ci si deve costruire una credibilità, un ascendente, non ci si può far vedere deboli o indecisi! Se non sei il più forte, se non lo dimostri ogni giorno, finisci col soccombere. Sapessi quali sacrifici, a quale prezzo difendo ogni giorno la mia posizione! Lo vedi a che ora vado via la sera, sempre pronta a tornare se c’è un cazzo di problema! Lo so io quante volte ho dovuto rinunciare a me stessa, a mio marito e sì, anche a mio figlio… E dover sempre dire quanto è eccezionale, perché anche su questo ti giudicano! … Io che ho dato tutto, per questo posto di merda! Sì, di merda… Con il Direttore che se ne sta ben lontano da qui, troppo preso a districarsi fra le sue amanti! Ma lo sai che se non ci fossi io, la barca andrebbe a fondo in pochi mesi? E loro cosa fanno? Non aspettano altro che un mio passo falso, un appiglio qualsiasi per farmi fuori! Ti prego Franchino, io ora devo correre via, lo capisci, mi metto nelle tue mani…”
Mi ritirai piano dalla sua stretta, cercando di assumere un’espressione adeguata alla situazione. Lei si ricompose, riprendendo quasi di colpo l’abituale controllo e mi liquidò dicendo
“Voglio il servizio per il notiziario delle otto!” Era tornata quella di sempre.
Alle sei riuscii a consegnare il pezzo a Paolo per il montaggio. Sentivo un confuso senso di vergogna, ma cercavo di dire a me stesso che, in fondo, ero stato onesto. Avevo fatto fare le riprese dei luoghi dove era avvenuta l’aggressione e raccolto le dichiarazioni delle forze dell’ordine. Pierfrancesco non era mai stato nominato. Nel mio commento non mi ero soffermato sugli aggressori, ma avevo fatto un lungo discorso sul “branco”. In fondo la notizia era stata data, dedicandole un tempo consistente.
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