Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

Frammenti di vita..................Racconti & Poesie..................Paco de Luna..................Pensieri sparsi..................CONTATTI

lunedì 7 ottobre 2013

Constatazione amichevole [gianbarly]

A. Ligabue - autoritratto
con la motocicletta
- Bene. Ecco il modulo e la penna. Ora possiamo cominciare. Se la sente?
- Che domande fa? Certo che sí.
- No, perché avrebbe tutti i diritti di sentirsi un po' scosso...
- Lei non si preoccupi e andiamo avanti. L'importante é che scriviamo tutto per bene.
- Certo, lo voglio anch'io.
- Allora ci metta che sono morto.

sabato 21 settembre 2013

Delina e Giovanni Benelli, due tipi per "L'amico di Mussolini"

Il mio romanzo aveva bisogno di una figura femminile. Di un personaggio che mitigasse la scontrosità di Giuseppe, che ne indirizzasse le scelte senza però togliergli la libertà, senza stravolgerlo.
Delina è nata così, una ragazza piccola, graziosa e determinata. Nella mia mente doveva essere estremamente femminile pur facendo un mestiere da uomo. Sentivo che lei aveva una passione per la meccanica, in particolare per le moto. Ho cominciato a scriverla così, pervaso però da dubbi: avevo forse osato troppo? Davvero potevano esserci donne che guidavano motociclette in quegli anni?
La questione mi frenava alquanto e non mi decidevo ad andare avanti finchè non mi sono imbattuto nella foto qui accanto. L'ho presa dal sito .... pensate un po' ... di Cà di Landino, il paese dei pozzi inclinati per il cantiere della Direttissima! Se non è un segno questo!
Allora il capitolo è andato via liscio, con ogni cosa al suo posto. E siccome per me parlare di moto significa, per una singolare coincidenza familiare, parlare delle Benelli, ho inserito un incontro fra lei e il giovane propietario di quel marchio glorioso:Giovanni Benelli.
La storia, interessantissima, della nascita di quella gloriosa fabbrica e dei suoi successi la potete trovare su Wikipedia o su siti di fanclub (come questo  http://thevintagent.blogspot.it/2011/12/fratelli-benelli-racing.html da cui ho tratto la foto dei fratelli Benelli).

Il terzo da sinistra è proprio Giovanni. Il primo invece è Antonio, detto "Tonino" che portò la loro moto a vincere tutte le più importanti competizioni internazionali negli anni '20 e '30.

Infine, per stimolare la vostra curiosità, ecco il brano del loro incontro:

Un giorno, mentre armeggiava su una malandata Augusta 175, una voce alle sue spalle la fece quasi sobbalzare:
“Che ce l’avrebbe una chiave inglese da prestarmi?”
Delina si tirò su, piantando i suoi occhi decisi sul giovanotto che le aveva fatto la domanda. Era un tipo piuttosto alto, distinto, con un bel giubbotto di pelle sopra la tuta. Aveva alzato sulla fronte gli occhialoni da motociclista. Accanto a lui una Benelli 175 monoalbero. La riconobbe al primo colpo, anche se non se ne vedevano tante in giro a quell’epoca.
Quell’esemplare aveva però qualcosa di strano. Delina lanciò uno sguardo interrogativo all’uomo.
“Ecco, signorina. Non vorrei darle disturbo, ma ho un problema alla moto e mi servirebbe una chiave del 12, se può prestarmela per un momento”
“La chiave ce l’ho” rispose ruvida Delina mentre gliela porgeva. “Ma lei è capace a far da sè?”
Il giovanotto scoppiò in una risata.
“E lei saprebbe metterci le mani?”
“Come no! E’ un motore particolare, ma posso cavarmela anche con quello”
L’uomo stette un attimo in silenzio, come per valutare quello che lei gli aveva detto.
“Facciamo così. Mentre io la sistemo, lei mi segue, così le insegno due o tre segreti di questo motore”
Delina fece un’espressione fra la sorpresa e l’offesa. Ma chi si credeva di essere costui?
“Non si arrabbi, la prego. E non mi consideri arrogante. Vede, questo motore credo di conoscerlo meglio di chiunque altro”
La guardò con aria seria.
“L’ho disegnato io”
Delina restò con il respiro a metà.
“Via, sarà ora che mi presenti. Sono Giovanni Benelli e questa è la moto che sto mettendo a punto per mio fratello Tonino. Quello che corre, lo conosce?”
Lavorarono insieme per un’ora buona, mentre lui le raccontava la storia di come, assieme ai suoi fratelli, avesse creato le famose Officine Benelli di Pesaro. Della madre Teresa che li aveva indirizzati a quel mestiere e senza la quale nulla sarebbe stato possibile. Delle serate sacrificate al divertimento per costruire un motore tutto loro. Con pazienza e passione le mostrò le modifiche che aveva apportato ai disegni originali per farne un motore da competizione.
Quel giorno Delina imparò più cose di quante ne avesse conosciuto fino a quel momento. Furono probabilmente i momenti più belli che avesse trascorso nell’officina paterna, che rinsaldarono definitivamente in lei la passione per la meccanica. Quei pezzi di metallo, resi brillanti dall’olio che li ricopriva, erano materia viva nelle loro mani. Come una squadra ben affiatata aprivano, analizzavano e sistemavano il cuore di quel gioiello come se si trattasse di operare una persona in carne e ossa. Delina non avrebbe più smesso.
Nell’accomiatarsi Giovanni Benelli fece i complimenti alla ragazza.
“Lei non sfigurerebbe nelle mie officine, glielo garantisco. Neppure nel reparto corse, dove mettiamo solo i meccanici migliori”
Delina abbassò lo sguardo, confusa.

“Anzi, se un giorno volesse lasciare questi posti e venire giù da noi, venga a trovarmi che un posto in fabbrica per lei ci sarà sempre. Ci pensi”.

mercoledì 8 maggio 2013

Piove merda [gianbarly]

Renè Magritte - Golconda
Il giorno 23 di giugno, a una certa ora del pomeriggio, cominciò a piovere merda. Veniva giù dal cielo in grossi goccioloni, che stampavano sull'asfalto un disco liquido di colore marrone chiaro, con al centro un piccolo grumo di cacca. Non era una pioggia fitta, tutt'altro. Le gocce cadevano alla distanza di una decina di secondi, una qui e l'altra là.

lunedì 8 aprile 2013

L'amico di Mussolini - Il terremoto del 1920 a Fivizzano

Il nonno Edgardo
Cosa ci fa qui il nonno Edgardo, che amico di Mussolini non fu davvero? Per capirlo bisogna ritornare al mio progetto di romanzo "L'amico di Mussolini".

Nello scrivere questo tipo di romanzo c'è una difficoltà in più: la necessità di documentarsi in maniera puntuale su una miriade di aspetti diversi. Ma proprio lì sta anche il suo aspetto più affascinante: ci si può far trascinare nel gorgo dei documenti, seguire le fonti, incrociare avvenimenti diversi. Attraverso i personaggi si possono annodare percorsi straordinari, fino al punto da non comprendere più se è il personaggio che richiede quella situazione oppure sia stata lei a presentarsi così ghiotta da determinare il personaggio.

A me è successo, ad esempio con l'Arrigo. Arrigo Maltinti, per la precisione, l'arrogante caposquadra del "Foro", il tormento del gruppo di operai che lavorano alla costruzione della Stazione delle Precedenze nella grande galleria della Direttissima Bologna-Firenze. Nel pensare una storia per lui, mi è prima affiorato un nome, un luogo da cui farlo venire: Fivizzano, in Lunigiana. Da lì a realizzare che, in quegli anni, l'evento dominante della zona era stato il terremoto del '20, è stato un attimo. Mi sono buttato a cercare documentazione, quando mi sono ricordato di avere un testimone d'eccezione: il nonno Edgardo.

Edgardo è stato il suocero di mia sorella. Per tutti noi è sempre stato il nonno Edgardo. Scomparso da poco, alla veneranda età di di 97 anni, ci ha lasciato un libretto di memorie che riporta anche i suoi ricordi di bambino scampato al terremoto. Eccoli:


3    II terremoto

Il 1919 fu l'anno del mio incontro con la scuola. Frequentai fa scuola privata della "Giacchi" dove l'insegnante Rappi Emma, severa ma buona e molto comunicativa, mi insegnò a scrivere le vocali e poco altro.
Fu in questa scuola, in via Cavallotti, che il pomeriggio del 6 settembre 1920 sentii pronunciare per la prima volta la parola terremoto. I compagni  più  grandi si precipitarono spaventati per le ripide scale ed io li  seguii  fino  in  strada. Giunto a   casa mi spiegarono il fatto e mi tranquillizzarono. Il mattino seguente, il 7 settembre,poco prima delle ore otto, si ripetè fa scossa con inaudita violenza. Ero ancora a letto e lo zio Icilio mi portò in braccio nello scantinato del fabbricato. La parte dell'appartamento da noi abitato fu quasi interamente distrutta. Furono ore drammatiche che per lungo tempo lasciarono in me paura e sconcerto. Sentivo la nonna raccontare che se mia zia Romana non si fosse alzata un'ora prima del solito, sarebbe rimasta sotto una trave del tetto che si era abbattuta sul letto.
Il sisma fu veramente una catastrofe: quasi tutte le abitazioni distrutte o  seriamente danneggiate, oltre quaranta i morti, gli aiuti quasi inesistenti, ovunque pianto e desolazione.



I mesi che seguirono furono di inaudita sofferenza. L'inverno era alle porte e noi ancora sotto le tende. Ricordo che un forte temporale spazzo via l'accampamento.
Del periodo in cui fummo attendati al Piazzone esiste una foto scattata da un marinaio venuto insieme alle truppe dei soccorritori

(...) In quei giorni da Fivizzano transitò il re. Lo ricordo in piedi sopra un'automobile, che ci faceva segni di saluto. Il sovrano prosegui poi per la Garfagnana, altra zona colpita dal sisma e si racconta che giunto nelle vicinanze di Terenzano fece fermare il convoglio per ammirare il bellissimo panorama delle Apuane, dicendo: "Ma questa è la Svizzera italiana".
Nel 1922-23, per iniziativa del prof. Metello Francini, primario dell'ospedale di Fivizzano e dell'associazione combattenti, i fìvizzanesi furono invitati a partecipare allo sgombero delle macerie della chiesa dei francescani che si trovava dove ora è l'entrata dell'ospedale. Vi fu un'adesione numerosa di uomini e di ragazzi che si misero al lavoro con costanza ed entusiasmo. Dalle macerie uscirono anche numerose ossa umane, visto che le chiese anticamente servivano spesso da cimitero. Tali resti furono poi portati in una cappella che si trova ancora oggi nel bosco dei frati. Attualmente al posto della chiesa, sulla destra di chi entra nell'ospedale, vi è un albero gigantesco; è un abete piantato nel 1931. Anch'io contribuii all'opera. A proposito dello sgombero delle macerie, merita un cenno il fatto che segue. Una domenica mattina, mentre ferveva il lavoro dei volontari, venne un ordine dalle autorità provinciali di sospendere ogni attività. Le ragioni di tale decisione erano dovute probabilmente al fatto che tra l'associazione combattenti ed i primi esponenti del nascente partito fascista non correva buon sangue.
(...)

5    La scuola

Le scuole riaprirono a ottobre dell'anno 1921 in una baracca dove ora si trova la Banca Toscana e successivamente trasferite in una sede più  idonea: la più  bella baracca del «Vivaio" posta dove ora c'è il campo sportiva.I banchi non erano troppo nuovi e ricordo il "Cecé" che veniva con un bottiglione di inchiostro a riempirci i calamai. D’inverno si combatteva il freddo con qualche semplice, ma efficace esercizio di ginnastica:  battere i piedi e spingere le braccia in alto ed in avanti. Una  piccola stufetta, alimentata  con qualche fascio di legna che andavamo a cercare nei boschi  di castagni, stemperava I’ambiente ma per poco. La stufa difettosa e la legna non sempre  secca procuravano  un  fumo  cosi fastidioso da indurre il maestro a far spegnere il “riscaldamento”.
(...)

6    Le baracche

Nel raggruppamento di baracche del "Vivaio", circa quaranta, si viveva abbastanza tranquilli, ma le privazioni erano davvero molte. La convivenza di tante persone creava quotidiani   problemi di difficile soluzione. I servizi igienici erano praticamente inesistenti: un baracchino all'inizio dell' accampamento e uno al termine. L'acqua era preziosa: un piccolo getto, dove ora si trova l'edificio della scuola materna, serviva tutta la comunità.
Altro problema era il bucato. Le massaie, alle qual era affidato    questo  compito, dovevano anche provvedersi la legna per alimentare il fuoco e avere acqua  bollente. Quindi sistemavano le lenzuola e tutto ciò che doveva essere lavato in un grosso recipiente a forma troncoconica chiamato bugio; coprivano il tutto con un telo di juta, lo cospargevano di cenere e, per qualche ora, vi gettavano sopra acqua bollente. All'estremità   del bugio una cannella immetteva il ranno in un recipiente che poi serviva ad altro uso.
Raccolta in un cesto la biancheria, se la caricavano in testa e andavano a sciacquarla in località assai lontane dall'abitazione: la fontana di sotto e la fontana grande.
Non tutto il paese viveva al "Vivaio". Raggruppamenti di baracche erano dislocati in altri siti: Piazzane, Campo di Salotto, Cemento, Livorno (perché donate dalla città di Livorno), sul lato destro di via Roma andando verso l'ospedale. Tutti questi insiemi di baracche avevano gli stessi problemi igienici e di convivenza.


Al Rondò, odierna piazza Marconi, sotto il bel platano, vi erano la farmacia Clementi ed il negozio Catalani.
Altre baracche, che sorgevano sparse ed isolate, ospitavano gli uffici postali in via Pedretti e forse anche gli uffici comunali. La pretura era alla Porte di sotto, dove adesso è la colonna in arenaria a ricordo dello stampatore Jacopo da Fivizzano. Questa sede fu poi destinata alla scuola di musica.
Sulla sinistra di via Roma, andando verso Nord, dove ora sorge la casa delle sorelle Brunelli, vi erano due costruzioni in legno fra le più belle. Una adibita a chiesa, l'altra a canonica. La baracca chiesa cominciò a funzionare regolarmente un paio d'anni dopo il terremoto, quando decisero di demolire la volta della chiesa parrocchiale pericolante e sostituirla con cassettoni di cemento armato. In questa chiesa ricevetti la mia prima Comunione. Fu un giorno bellissimo ed indimenticabile.
Nella provvisoria sede parrocchiale non fu trasferita l'immagine della Madonna di Reggio, molto amata e venerata da tutta la popolazione.
L’immagine fu posta in una sede ricavata nel palazzo del nobile Battini Rossi. Tale edificio, rimasto indenne dal terremoto, fu demolito per ragioni poco chiare qualche tempo dopo.