Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

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martedì 22 giugno 2010

Paco de Luna - Secondo quadro [gianbarly] La Notte 1 (bozza)



Francesco, detto da tutti Franchino – tranne che dal suo amico Paolo, che lo chiamava Franco, intendendo in quel modo dimostrargli un affettuoso rispetto – aveva una passione: la notte.  


Gli piaceva restare sveglio e lo faceva senza alcuna fatica. La notte gli metteva un’energia che non si sentiva durante il giorno. Non soffriva la mancanza di sonno. Poteva coricarsi poco prima dell’alba per svegliarsi due ore dopo, pronto per una nuova giornata. Poi, quando poteva permetterselo, recuperava le ore perse. Un pomeriggio libero dal lavoro oppure la domenica mattina. Allora dormiva di un sonno pesante, indifferente alla luce o ai rumori che lo circondavano.
La questione è che si era instaurato un rapporto particolare fra lui e la notte. Durante il giorno si sentiva spesso confuso, faticava a seguire la logica delle cose che succedevano intorno a lui, finendo per sentirsi in una situazione di disagio. Anche se ormai c’era abituato, la cosa non gli faceva piacere. Era come sovrastato dagli altri, da tutte le loro attività così più importanti delle sue, dalle loro esigenze che lui era portato ad assecondare, senza chiedersi se fosse giusto farlo.
La notte no. Sue erano quelle ore liquide, da trascorrere in un divenire continuo di luci ed ombre, dove si poteva scegliere di mostrarsi a tutti con la forza dei neon che ti inondavano di luce, oppure di immergersi nelle gradazioni grigie dei coni d’ombra, che sembrano suggerire un’intimità con chi hai vicino o anche semplicemente con te stesso. Lì, nel regno della notte, lui si sentiva perfettamente a posto. Sapeva in ogni momento cosa fare, come muoversi e quale era il suo posto. Proprio lì poteva avere un rapporto alla pari con chiunque altro, proponendo ed accettando, in uno scambio che gli dava quell’energia vitale che lo teneva sveglio fino a tarda ora.
Di notte non aveva bisogno di quelle lunghe pause per riflettere sul da farsi. Gli bastava immergersi nella corrente dei rapporti, nella danza dei gesti e delle parole abituali, per trovare la soluzione ad ogni questione.
Come quella che continuava a tormentarlo. Aveva sperato che l’incontro con Lourdes, la donna di Paco, mettesse fine alla questione. E invece no. Francesco era rimasto seriamente turbato da quell’incontro, senza sapersi spiegare fino in fondo il perché.
Lei lo aveva messo con le spalle al muro facendogli, con forza, una richiesta. Che lui non sapeva minimamente come soddisfare. Non poteva mica andare alla tele e proporre, come se niente fosse, altre puntate sulla storia di Paco. Non era mai stato fatto, per nessuno, e a nessuno là dentro passava per la testa che si potesse fare. D’altra parte non se la sentiva di negarle quella possibilità. Men che mai si sarebbe prestato ad illuderla, assecondandola nella sua richiesta di rivedere Paco senza poi farne niente. No, quella donna aveva messo troppa passione nella sua preghiera. Lui, ora, doveva trovare una soluzione.
Quella sera si trovò a pensare a lei, a quanto doveva essere innamorata per decidersi a fare quel passo. Non era il tipo di donna abituata a mostrare i suoi sentimenti ad un estraneo. Per quanto poco la conoscesse, era sicuro che le fosse costato molto. Ebbe un brivido all’idea che un uomo possa avere la grazia di un amore così intenso e totale.
Quel pensiero, di notte, non riusciva tuttavia ad angosciarlo. Invece di immaginare le difficoltà cui stava andando incontro, tendeva a rimandare il problema. Sapeva che la notte rappresentava una specie di zona franca, in cui poteva evitare di impegnarsi nelle sue sfide diurne. Un vago ottimismo si insinuava in lui, suggerendogli che una soluzione, alla fine, si sarebbe trovata.
Intanto poteva chiedere un consiglio a Paolo.


Era la notte che aveva cementato la sua amicizia con Paolo. Si conoscevano dal tempo del liceo, ma allora non si frequentavano molto. Si erano re-incontrati in paio di anni dopo aver terminato la scuola, in un locale dove lui era stato trascinato dagli amici dell’epoca. Era rimasto colpito dalla sicurezza con cui Paolo si muoveva in quell’ambiente. Conosceva un numero straordinario di persone e sembrava possedere una particolare sensibilità per il benessere di chi aveva accanto. Si era subito accorto che Francesco era a disagio, anche se avevano scambiato solo un paio di frasi. Gli si era seduto accanto incoraggiandolo a parlare. Finirono per restare insieme tutta la sera, discutendo degli argomenti più vari. Non per questo Paolo si era estraniato. Mentre dedicava tutto se stesso all’amico, non trascurava tuttavia di seguire cosa succedeva intorno a lui. Un gesto ogni tanto, una frase a metà, ma sempre commisurata alla situazione, davano agli altri la sensazione della sua presenza costante.
A forza di parlare si era creata un’amicizia profonda. Paolo faceva scoprire all’amico tutte le sfumature della notte, i suoi sortilegi e i suoi segreti. Franco (come lo chiamava lui) imparava in fretta e arricchiva la conversazione con le sue osservazioni. Si erano disegnati un loro mondo, uno spazio esclusivo, da spettatori esterni, come fossero alieni che dallo spazio cercano di decifrare i comportamenti di quelle buffe creature umane. Pur essendo continuamente in mezzo agli altri, trovavano il modo di comunicare su una lunghezza d’onda particolare, nota solo a loro. Bastava uno sguardo o una parola per trasmettersi le loro osservazioni.
Paolo aveva una grande facilità nel classificare i comportamenti delle persone. Definiva le categorie umane e ad ognuna dava un suo nome. Ne aveva discusso a lungo con Franco ed assieme lavoravano a migliorare la definizione. Stabilivano i criteri con cui riconoscerle, le varianti e i difetti tipici di ciascun tipo. Poi gli trovavano un nome adatto. Così era sufficiente anche solo muovere le labbra a mimare un nome, per far sì che l’altro capisse.

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