Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

Frammenti di vita..................Racconti & Poesie..................Paco de Luna..................Pensieri sparsi..................CONTATTI

martedì 21 aprile 2015

Il popolo dei Forse [gianbarly]

C’è un popolo che non fa ombre, che non produce rumori. E’ evanescente, sfugge a ogni definizione, non si riesce mai a vederlo distintamente. E’ il popolo dei Forse. Vive sulle coste, ma non si sa bene di quale Paese. In Libia, forse, o in Marocco. Qualcuno dice in Turchia, vallo a sapere. Di sicuro è un popolo numeroso, sono tantissimi, milioni forse, ma quanti esattamente non lo sapremo mai. Sono somali, sembra, oppure etiopi; siriani, pachistani, cingalesi, chi lo sa. Loro muoiono, a dieci, a cento, a mille per volta. Forse. Non è certo, non ci sono prove. Con loro gli zeri non hanno importanza. Non li possiamo contare perché la loro morte non produce cadaveri. Sono esseri schivi e preferiscono sparire nelle profondità del mare. E anche se il cadavere c’è, perché qualche volta, raramente, succede, se lasciano un corpo da analizzare, è senza documenti. Avrà vent’anni, no almeno trenta; da dove viene secondo te? Boh, forse è parente di quell’altro laggiù. La loro natura è eterea, non pesano sulla coscienza. Sono uno spezzone di film, un’immagine subliminale, buoni per un paio di frasi durante una conversazione. Non fanno del male. Eppure, anche se, forse, per la loro natura non sono pericolosi, bisogna che vi avverta: state attenti! Perché dietro questo aspetto dimesso, questa trasparenza che li rende quasi invisibili, nascondono un’insidia terribile. Si dice, ma non è sicuro, può benissimo trattarsi di chiacchere di marinaio, buone per spaventare qualche credulone, fatte con la complicità del buio e di un buon bicchiere di vino; si dice, comunque, e sono in tanti ad affermarlo fra quelli che hanno vissuto quell’esperienza, la voce quindi è degna di attenzione, bisogna insomma che ne teniamo conto e che prendiamo le giuste precauzioni per non incorrere sciaguratamente nello stesso problema! Quasi mi si incrina la voce a dirlo, ma mi devo fare coraggio, è troppo importante, tutti devono sapere. Si dice, infine, e io ci credo, che se avvicinati, a una distanza inferiore a quella solita, tale da poterci scambiare delle parole senza essere costretti a urlare, se ci si avvicina a loro quasi fino a sfiorarli, in modo da poter vedere i sussulti della loro pelle, da poter distinguere chiaramente la paura si loro volti; se si è così sciagurati da fare tutto ciò allora, forse, si dice che siano capaci di trasformarsi in esseri umani!

venerdì 20 febbraio 2015

I piatti sporchi [gianbarly]

di Renato Carosone
La Kiara gli gira intorno, senza parlare. E’ una vita che non fanno altro che gettarsi in faccia mozziconi di parole. “Esco”, “Non sono a cena”, “Me l’hai lavata la roba?”. Tutto lì. Di fare un discorso, dare un’opinione, anche solo chiedere “Come stai?” non se ne parla proprio. E non è solo perché lei è sfuggente come tutti i ragazzi di sedici anni. E’ che un motivo per parlare con lei non ce l’ha. Da quando sua moglie l’ha piantato, così su due piedi, senza nemmeno un rigo di spiegazione, lasciandogli per giunta la figlia, vivono ognuno la propria vita, incrociandosi per via degli spazi, ma senza vedersi. E’ per questo che ora lei lo infastidisce, con quel suo ronzare silenzioso. Poi, lui ha altri progetti per la serata, si vuol divertire un po’ con Marika, la sua nuova compagna, senza nessuno fra i piedi. Perché Kiara non esce, come fa tutte le sere?

Anche lei vorrebbe prendere la porta e non pensarci più. Meno ha a che fare con lui e meglio sta. La sua vita non è certo fra quelle mura. Ma ha bisogno di lui, stasera. Perciò frena l’istinto di scappare via e cerca un pretesto per restare in quella stanza ancora un po’, in attesa di trovare il coraggio di parlare. Prova a prendere un bicchiere dall’acquaio, ma è troppo sporco e lo rimette dov’era. Guarda la nuca del padre e pensa a quanto gli fa schifo. Sì, schifo, come quelle troie che si porta a casa, senza nemmeno la decenza di farlo quando lei non c’è. Che a lei dia noia sentirli ridacchiare o peggio, attraverso quelle pareti di carta velina, non gliene frega niente. A lui non frega di lei, altrimenti non si comporterebbe così. Cosa gli costa cercare di capire, almeno un pochino? Accorgersi, ogni tanto, che lei esiste. No, lui vive di spalle, per non vedere. Se ci pensa, le monta una rabbia terribile.

“Sono incinta, cazzo!” 

Lui, allora, fa per la prima volta una cosa incredibile. Si ferma. Smette di seguire i risultati della Bundesliga e rimane immobile. Per un istante lunghissimo non succede assolutamente niente. Un miracolo, agli occhi di Kiara, abituata a non suscitare nessun effetto con le sue parole. Poi lui si gira lentamente, posando lo sguardo su ciò che ha intorno. Vede la polvere sulla mensola di cristallo, la macchia di bruciato sul tavolo, i piatti alla deriva nell’acquaio. Si guarda i pantaloni della tuta e le mani. E la ragazza che ha davanti, che sembra tornata improvvisamente bambina. 

“Sono incinta” ripete lei a voce bassissima.

domenica 15 febbraio 2015

Il tappeto volante [gianbarly]

Ho le palpebre pesanti, di piombo. Provo a passare la mano libera sul viso, mentre con l’altra reggo il volante. Scuoto la testa, muovendola a destra e a sinistra, senza togliere gli occhi dalla strada. Fuori è ormai notte. E piove. Una pioggia leggera, che lascia un velo d’acqua sull’asfalto. Nella corsia di destra i TIR la sollevano in una nebulosa di gocce piccolissime, che rifrangono ogni tipo di luce. Il rosso degli stop, l’arancio delle frecce. Il bianco dei miei fari, che crea una specie di sipario di fronte alla macchina, un telo opalescente che non posso scostare né penetrare, indifferente al frenetico avanti e indietro delle spazzole sul vetro. Che ondeggia pigramente secondo la quantità di acqua sollevata, ma non scompare mai. Faccio fatica a vedere dove vado.

domenica 22 giugno 2014

Il bruttivendolo [gianbarly]

Nel Paese dei Belli la bruttezza non è consentita. Tutti sono aggraziati. Hanno lineamenti fini, proporzionati; il colore degli occhi in piacevole contrasto con quello dei capelli; la pelle delicata e senza imperfezioni, il fisico tonico da veri sportivi. I bambini hanno cascate di boccoli e denti bianchissimi, perfettamente allineati. Persino i vecchi hanno i volti scolpiti, come statue dell'antichità, e folti capelli argentati.
Non ci sono brutti nel Paese dei Belli. Se capita che nasca un bambino men che bellissimo (e, a dire il vero, la cosa succede piuttosto spesso, si potrebbe dire addirittura che sia quella la norma, invece del contrario), se il nuovo arrivato presenta qualche deformità o anche delle misure al di fuori dei rigidi parametri stabiliti, beh … se proprio capita, per i genitori c’è una, e una sola, soluzione: il bruttivendolo.
Tutti sanno chi è e dove sta il bruttivendolo e tutti, ma proprio tutti, hanno avuto a che fare con lui, una volta o l’altra. Eppure nessuno lo nomina nei suoi discorsi o lo frequenta come amico. Sembra quasi che, per qualche misteriosa ragione, provino una sorta di vergogna nei suoi confronti e fino a quando non ne hanno bisogno se ne tengono alla larga. Sarà forse per il suo aspetto: un vero mostro. Basso, tarchiato, il naso adunco, le braccia corte con due mani spropositate; sembra fatto apposta per mettere paura. Nessuno ha mai saputo dire come sia potuto capitare proprio lì, nel paese dove la bellezza è un imperativo. Eppure c’è e svolge da tempo immemorabile il suo triste compito. Vende i bambini brutti.
Ogni giorno c’è un papà che si reca alla sua bottega con un fagottino in braccio; lui dà un’occhiata alla merce, fa la sua offerta e il bambino passa rapidamente di mano. Il papà se ne va sollevato, anche se in cuor suo avrebbe probabilmente preferito un guadagno più consistente. Ma, tutti lo sanno, con il bruttivendolo non si mercanteggia: la cifre è quella, prendere o lasciare; e siccome tornare a casa con il piccolo mostro non è proprio possibile, bisogna accontentarsi di quello che dà.
Il lavoro non manca, al bruttivendolo. Riceve i visitatori a tutte le ore del giorno e della notte. Ogni momento è buono per acquistare un nuovo bambino, perchè le famiglie hanno una gran fretta di liberarsi dell'incomodo.
Ma, direte voi, quei padri sono davvero così ansiosi di separarsi dal loro figlio, anche se un po' bruttino ? E le madri, cosa pensano in quei momenti?  Ve li immaginate piangenti, distrutte da un dolore troppo forte da sopportare, vero? E' così che si comporta un genitore in ogni parte del mondo.
Sì, è così che si comporta dappertutto. Ma non nel Paese dei Belli. Le madri non piangono nemmeno una lacrima e i padri tornano a casa soppesando la sacca con i soldi guadagnati. Soldi benedetti, che ne servono così tanti. Due cose sono essenziali per poter viver bene nel Paese dei Belli : i soldi e la possibilità di esibire la propria bellezza.
Ci sono feste tutti i giorni in quelle contrade. E concorsi di bellezza, gare di stile, saggi di eleganza. Una famiglia che non potesse esibire una prole dai lineamenti perfetti, sarebbe destinata alla catastrofe in men che non si dica. Quindi a nessuno verrebbe in mente di tenere con sè un figlio brutto. Per loro non è un figlio, ma un fastidio di cui liberarsi il più presto possibile.
Quando una donna sta per partorire, i parenti e gli amici si radunano nella sua casa, in attesa del lieto evento. Il neonato, appena ripulito e fasciato nelle sue vesti, viene mostrato ai presenti, che guardano e giudicano. Se è di bell'aspetto si prodigheranno in complimenti per i genitori, augurando un felice futuro alla creatura. Ma se qualcosa non va, daranno appena uno sguardo gelido al fagotto che viene presto lasciato nelle mani del padre. Il quale parte senza esitazione per la bottega del bruttivendolo.
E lui è sempre là, a raccogliere quegli scarti. Liquida in fretta il papà e poi si prende cura del nuovo ospite. Gli da il latte, lo pulisce e gli canta una canzoncina. Una canzone speciale che ha inventato lui e che fa grosso modo così :
Guarda qua
Guarda là
Guarda tutto intorno
Quando viene il giorno
Se lo vedi, siete tanti
E mai sarete stanchi
Li tratta bene i bambini che gli arrivano, il bruttivendolo. Li accudisce con grande amore e non si stanca mai di cantar loro la sua canzone. Pur avendone un gran numero, li riconosce a uno a uno e per ciascuno ha un'attenzione particolare. In men che non si dica diventa per loro il papà e la mamma che non hanno avuto.
Il bruttivendolo passa ogni momento della sua giornata, quando non è impegnato con i clienti, insieme ai suoi bambini. Gioca con loro, gli insegna a vestirsi e a far di conto. Supplisce da solo a tutte le loro esigenze: fa da maestro e da genitore senza mai stancarsi e mai fa loro un rimprovero non meritato.
Viene però il momento in cui li deve vendere. E’ un momento duro per lui e per i bambini. Ma quando sono cresciuti a sufficienza e c'è un compratore, deve staccarsi da qualcuno di loro.
Vi potrà sembrare strano ma i compratori sono ... gli stessi padri che li hanno venduti. Ma, com'è possibile, direte voi. Ebbene sì, sono cose che succedono nel Paese dei Belli. Perchè, dovete sapere, gli abitanti di questi posti hanno bisogno di un sacco di cose. Loro, lo sappiamo, sono belli, ma anche le loro case devono esserlo e i parchi e le ville, persino le rimesse delle automobili. Per cui le adornano con ogni cosa le possa rendere ancora più belle. E come gli antichi mettevano statue di mostri bizzarri a ornamento delle loro dimore, così loro mettono quei ragazzi di carne e ossa. Mostri vivi invece che di marmo. A loro piace immensamente adornare ogni punto delle facciate dei loro splendidi palazzi con quelle creature dismorfiche. È una gara a chi può esibirne di più. C'è un continuo via vai nella bottega del bruttivendolo, con coppie che sgomitano per accappararsi le merci più pregiate. Il bruttivendolo insegna ai suoi ragazzi, appena sono cresciuti abbastanza, ad assumere pose grottesche, in modo da attirare l'attenzione dei compratori. Li istruisce a dovere su come comportarsi una volta arrivati nel posto assegnato, in modo da non avere reclami. I ragazzi, quando lasciano la sua bottega, hanno imparato tutto quello che serve e sono pieni di affetto per lui.
Nelle lunghe ore che passano a ornare le facciate dei palazzi hanno come unica compagnia il ricordo dell'affetto del bruttivendolo e la canzoncina che gli cantava in continuazione:
Guarda qua
Guarda là
Guarda tutto intorno
Quando viene il giorno
Se lo vedi, siete tanti
E mai sarete stanchi
La canzone dà loro coraggio e non fanno caso agli sberleffi dei bambini belli o alle frecciatine degli adulti.  Anche quando, per esempio, passa una scolaresca in gita e la maestra li addita con disprezzo, dicendo agli alunni:
“Guardate cosa vi succederà, se non curate abbastanza la vostra bella personcina!”
Loro hanno imparato a non farci caso e continuano nel lavoro. Non sono infelici, perchè il loro papà speciale gli ha spiegato quanto importante sia il loro compito e, soprattutto, i trucchi per divertirsi alle spalle dei padroni. I quali non sanno che, ogni volta che sono distratti, le loro preziose grottesche abbandonano velocemente le facciate dei palazzi e si ritrovano tutte insieme per giocare a pallone o qualche altro gioco. Un fischio basta poi per metterli in allarme e farli ritornare immediatamente al loro posto. I brutti hanno mille modi per ingannare i padroni, sempre senza venir meno al compito assegnato. Su questo il bruttivendolo è intransigente : il dovere viene prima di tutto.
Così scorre la vita nel Paese dei Belli, con i padroni che passano il tempo a pavoneggiarsi, disperandosi in continuazione per non avere abbastanza soldi o abbastanza bellezza e i brutti che, tutto sommato, riescono a essere felici e a fare una vita attiva e gioiosa alle loro spalle.
Cantano i ragazzi brutti, abbarbicati in pose deformi nelle nicchie dei suntuosi palazzi, cantano la canzone imparata dal bruttivendolo infischiandosene della loro condizione in apparenza così misera.
Cantano con la gioia nel cuore, interrogandosi sul significato di quelle parole:
Guarda qua
Guarda là
Guarda tutto intorno
Quando viene il giorno
Se lo vedi, siete tanti
E mai sarete stanchi
Capita poi un giorno che uno di loro, forse uno dei più svegli, cominci a capire. A guardarsi intorno con occhi nuovi. A vedere realmente per la prima volta quello che è sempre stato sotto gli occhi di tutti.
"Se lo vedi siete tanti"
Si guarda intorno e capisce ; conta i ragazzi come lui, arrampicati a due a due nelle loro postazioni. Sono a decine per ogni palazzo e i palazzi sono migliaia. Ecco cosa voleva dir loro il bruttivendolo! Migliaia e migliaia di ragazzi brutti, molti di più di quelli belli.
Allora scende dal suo trespolo facendo un fischio agli altri.
“Ma guardate, quanti siamo! Siamo tantissimi”
“E allora?” Azzarda un altro che non capisce.
“Allora? Allora vuol dire che possiamo fare come vogliamo, loro non possono certo impedircelo. Possiamo scendere quando vogliamo, infischiandocene delle loro proteste. E se ci pare, non risalire mai più!”
Il bruttivendolo li osserva da lontano, dalla soglia della bottega, con un sorriso sulle labbra. Li lascia fare.
Ora tutti i ragazzi hanno capito il significato della canzoncina e vogliono dir la loro.
 “Basta fare i mostri!”
“Se siamo di più vuol dire che siamo noi i belli!”
“Mettiamoci loro al nostro posto!”
Quest'ultima frase fa scendere di colpo il silenzio. Ognuno rimugina dentro di se, indeciso.
Uno dei ragazzi più piccoli si fa coraggio e prende la parola
“Quanto vorrei che il buon bruttivendolo fosse qui, a consigliarci”
Prende respiro e poi continua
“Ma credo che, se lui fosse qui, ci direbbe che non è con la vendetta che risolviamo la situazione”
Mentre parla comincia a fare degli ampi cenni in direzione delle finestre.
“Ehi! Voi là dentro! Non abbiate timore e venite fuori, qui con noi. Nessuno vi torcerà un capello, ve lo prometto. Noi vogliamo solo poter decidere della nostra vita e, visto che siamo la maggioranza, cambiare un po' di regole”
“Primo: d'ora in avanti questo sarà il Paese dei Brutti e dei Belli!”
Un applauso scrosciante sancisce la decisione.
“Secondo: non ci saranno più concorsi di bellezza e non si dovranno pagare soldi per parteciparvi!”
Altro applauso, ancora più forte. Anche da parte di qualcuno dei belli che si fa largo timidamente nella folla. Si vede che comincia a capire e a vedere con occhi nuovi. E incita altri belli a fare come lui.
“Terzo: nessun genitore vorrà più abbandonare suo figlio solo perché non è bello!”
Le mamme si sciolgono allora in un pianto troppo a lungo represso e iniziano a cercare con lo sguardo i bambini che hanno abbandonato. Qui e là si alza un urlo di gioia e due persone si abbracciano, felici di essersi ritrovate. Qualcuno mette insieme un'orchestrina e si libera uno spiazzo dove poter ballare. Nel Paese dei Brutti e dei Belli per la prima volta si fa festa per il solo motivo di averne voglia, senza concorsi e senza biglietto d'ingresso.
Il bruttivendolo guarda a lungo quello spettacolo asciugandosi una lacrima. Poi si gira e tira giù la seracinesca del negozio.






lunedì 7 ottobre 2013

Constatazione amichevole [gianbarly]

A. Ligabue - autoritratto
con la motocicletta
- Bene. Ecco il modulo e la penna. Ora possiamo cominciare. Se la sente?
- Che domande fa? Certo che sí.
- No, perché avrebbe tutti i diritti di sentirsi un po' scosso...
- Lei non si preoccupi e andiamo avanti. L'importante é che scriviamo tutto per bene.
- Certo, lo voglio anch'io.
- Allora ci metta che sono morto.

sabato 21 settembre 2013

Delina e Giovanni Benelli, due tipi per "L'amico di Mussolini"

Il mio romanzo aveva bisogno di una figura femminile. Di un personaggio che mitigasse la scontrosità di Giuseppe, che ne indirizzasse le scelte senza però togliergli la libertà, senza stravolgerlo.
Delina è nata così, una ragazza piccola, graziosa e determinata. Nella mia mente doveva essere estremamente femminile pur facendo un mestiere da uomo. Sentivo che lei aveva una passione per la meccanica, in particolare per le moto. Ho cominciato a scriverla così, pervaso però da dubbi: avevo forse osato troppo? Davvero potevano esserci donne che guidavano motociclette in quegli anni?
La questione mi frenava alquanto e non mi decidevo ad andare avanti finchè non mi sono imbattuto nella foto qui accanto. L'ho presa dal sito .... pensate un po' ... di Cà di Landino, il paese dei pozzi inclinati per il cantiere della Direttissima! Se non è un segno questo!
Allora il capitolo è andato via liscio, con ogni cosa al suo posto. E siccome per me parlare di moto significa, per una singolare coincidenza familiare, parlare delle Benelli, ho inserito un incontro fra lei e il giovane propietario di quel marchio glorioso:Giovanni Benelli.
La storia, interessantissima, della nascita di quella gloriosa fabbrica e dei suoi successi la potete trovare su Wikipedia o su siti di fanclub (come questo  http://thevintagent.blogspot.it/2011/12/fratelli-benelli-racing.html da cui ho tratto la foto dei fratelli Benelli).

Il terzo da sinistra è proprio Giovanni. Il primo invece è Antonio, detto "Tonino" che portò la loro moto a vincere tutte le più importanti competizioni internazionali negli anni '20 e '30.

Infine, per stimolare la vostra curiosità, ecco il brano del loro incontro:

Un giorno, mentre armeggiava su una malandata Augusta 175, una voce alle sue spalle la fece quasi sobbalzare:
“Che ce l’avrebbe una chiave inglese da prestarmi?”
Delina si tirò su, piantando i suoi occhi decisi sul giovanotto che le aveva fatto la domanda. Era un tipo piuttosto alto, distinto, con un bel giubbotto di pelle sopra la tuta. Aveva alzato sulla fronte gli occhialoni da motociclista. Accanto a lui una Benelli 175 monoalbero. La riconobbe al primo colpo, anche se non se ne vedevano tante in giro a quell’epoca.
Quell’esemplare aveva però qualcosa di strano. Delina lanciò uno sguardo interrogativo all’uomo.
“Ecco, signorina. Non vorrei darle disturbo, ma ho un problema alla moto e mi servirebbe una chiave del 12, se può prestarmela per un momento”
“La chiave ce l’ho” rispose ruvida Delina mentre gliela porgeva. “Ma lei è capace a far da sè?”
Il giovanotto scoppiò in una risata.
“E lei saprebbe metterci le mani?”
“Come no! E’ un motore particolare, ma posso cavarmela anche con quello”
L’uomo stette un attimo in silenzio, come per valutare quello che lei gli aveva detto.
“Facciamo così. Mentre io la sistemo, lei mi segue, così le insegno due o tre segreti di questo motore”
Delina fece un’espressione fra la sorpresa e l’offesa. Ma chi si credeva di essere costui?
“Non si arrabbi, la prego. E non mi consideri arrogante. Vede, questo motore credo di conoscerlo meglio di chiunque altro”
La guardò con aria seria.
“L’ho disegnato io”
Delina restò con il respiro a metà.
“Via, sarà ora che mi presenti. Sono Giovanni Benelli e questa è la moto che sto mettendo a punto per mio fratello Tonino. Quello che corre, lo conosce?”
Lavorarono insieme per un’ora buona, mentre lui le raccontava la storia di come, assieme ai suoi fratelli, avesse creato le famose Officine Benelli di Pesaro. Della madre Teresa che li aveva indirizzati a quel mestiere e senza la quale nulla sarebbe stato possibile. Delle serate sacrificate al divertimento per costruire un motore tutto loro. Con pazienza e passione le mostrò le modifiche che aveva apportato ai disegni originali per farne un motore da competizione.
Quel giorno Delina imparò più cose di quante ne avesse conosciuto fino a quel momento. Furono probabilmente i momenti più belli che avesse trascorso nell’officina paterna, che rinsaldarono definitivamente in lei la passione per la meccanica. Quei pezzi di metallo, resi brillanti dall’olio che li ricopriva, erano materia viva nelle loro mani. Come una squadra ben affiatata aprivano, analizzavano e sistemavano il cuore di quel gioiello come se si trattasse di operare una persona in carne e ossa. Delina non avrebbe più smesso.
Nell’accomiatarsi Giovanni Benelli fece i complimenti alla ragazza.
“Lei non sfigurerebbe nelle mie officine, glielo garantisco. Neppure nel reparto corse, dove mettiamo solo i meccanici migliori”
Delina abbassò lo sguardo, confusa.

“Anzi, se un giorno volesse lasciare questi posti e venire giù da noi, venga a trovarmi che un posto in fabbrica per lei ci sarà sempre. Ci pensi”.

mercoledì 8 maggio 2013

Piove merda [gianbarly]

Renè Magritte - Golconda
Il giorno 23 di giugno, a una certa ora del pomeriggio, cominciò a piovere merda. Veniva giù dal cielo in grossi goccioloni, che stampavano sull'asfalto un disco liquido di colore marrone chiaro, con al centro un piccolo grumo di cacca. Non era una pioggia fitta, tutt'altro. Le gocce cadevano alla distanza di una decina di secondi, una qui e l'altra là.