Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

Frammenti di vita..................Racconti & Poesie..................Paco de Luna..................Pensieri sparsi..................CONTATTI

domenica 8 agosto 2010

Paco de Luna - Secondo quadro [gianbarly]La Notte 3(bozza)

L’incontro con Giuliana aveva messo di buon umore Francesco. Gli piacevano le situazioni nuove, che lo potevano sorprendere e anche fargli scoprire aspetti differenti nelle persone che conosceva. Aveva giudicato male la ragazza.
Si diresse leggero verso il GazPro, uno dei locali più frequentati del lungofiume. Sapeva di trovarci Paolo. A quell’ora era senz’altro a parlare con il barman.


Il barman si chiamava “E”. 
E e basta, proprio come la congiunzione. Anzi, proprio a causa di quella.
“Colpa di mio padre” ti diceva ridendo, quando si presentava. In effetti era andata così: il padre era un grande idealista, profondamente suggestionato dal simbolismo di alcuni periodi storici, come l’inizio del Novecento, o gli anni dopo il ’68 quando non era infrequente il caso di genitori che scolpivano la propria visione del mondo nel nome dei figli. Ne parlava con tutti, sciorinando il suo elenco di nomi: Anarchia, Idea Socialista, Avvenire, Rossa ma anche Vittoria, Ala e Luce, le figlie di Tommaso Filippo Marinetti. Lo trovava grandioso. Senza curarsi di cosa ne potesse eventualmente pensare l’interessato, il figlio che si trovava a convivere con un nome un tantino ingombrante, si esaltava del coraggio necessario a gridare al mondo i propri ideali. Per lui, la questione aveva anche una precisa funzione educativa; uno con un tal nome non poteva non assorbire dentro di se, ogni giorno della sua vita, l’insegnamento voluto dal genitore, proprio a causa di questo legame indissolubile trasmesso dal nome.
Faceva notare, a chi aveva la pazienza di starlo ad ascoltare, che questi nomi ideali erano in gran parte femminili. Non riusciva a capacitarsi del fatto che un gesto di tale potenza artistica e sociale fosse appannaggio del solo mondo femminile. Del perché ad un maschio si dava, di preferenza, il nome di un grande personaggio (Ulisse, Adone, Napoleone), di cui assorbire le qualità, quando ci sono a disposizione anche altri nomi in grado di esprimere concetti altissimi. Tali nomi possono essere femminili, certo, ma anche maschili, oppure (e qui andava in estasi) adattabili indifferentemente all’uno o all’altro genere, perché gli ideali non hanno sesso.
Nel periodo della gravidanza aveva elaborato una sua teoria sulla congiunzione “e”. La trovava geniale, una sintesi perfetta. Una metafora sublime, racchiusa in una sola sillaba. La catena che unisce i diversi e gli opposti. Bianco e nero, destra e sinistra, odio e amore, chiesa e stato, vecchio e nuovo. Tutti gli opposti del mondo, grazie ad una semplice, graziosa congiunzione, ad un soffio appena percepibile fra di loro, possono così trovarsi e, trovandosi, conoscersi e rispettarsi. Comprendersi. La “e” è un ponte che gli consente di incontrarsi. Un legame forte in grado di tenere legati mondi che tenderebbero a sfuggirsi. A farli muovere insieme, proprio perché divenuti dipendenti l’uno dall’altro proprio a causa di quella “e”.
Aggiungeva sempre nuovi esempi, vino e acqua, angeli e diavoli, reale e virtuale, uomo e donna, fuori e dentro; ci metteva squadre di calcio notoriamente avversarie, politici di opposti schieramenti, personaggi dello schermo e professioni inconciliabili come giudici ed avvocati (a dire il vero c’era però un qualcosa che proprio non riusciva a conciliare. Nella sua testa mai e poi mai avrebbe potuto mettere insieme Rolling Stones e Beatles. Quello non gli riusciva proprio, era più forte di lui).
A forza di parlare, e con qualche litigio, aveva convinto la moglie. Il giorno del parto era andato come un fulmine a registrare il figlio all’anagrafe, restando esterrefatto delle difficoltà sollevate dall’impiegato. Aveva citato a memoria gli articoli della legge, invocato l’immediata convocazione dei superiori del malcapitato, aveva strepitato, ma inutilmente. Alla fine aveva dovuto piegarsi e registrare il figlio come Eugenio.
Ma non si era perso d’animo. Facendosi forza di un minuscolo spazio bianco che l’impiegato aveva lasciato nel tracciare il tratto di congiunzione fra la “e” e la “u”, annunciò al mondo che il figlio si chiamava proprio E, con un improbabile Ugenio come secondo nome. Iniziò a litigare con chiunque mettesse in dubbio la cosa. Negli anni litigò con il prete per il battesimo, con le educatrici dell’asilo, con la scuola e con ogni tipo di autorità.
Intanto al figlio diceva che doveva essere orgoglioso della missione che il suo nome gli assegnava.
“Tu sei un ponte fra le persone” gli ripeteva “un messaggero di pace e di fratellanza universale!”



Francesco non sapeva se tale insegnamento avesse dato i frutti sperati. Sapeva solo che E portava una gran massa di capelli rasta che contrastavano piacevolmente con lo smoking di ordinanza. Aveva un modo di parlare pungente, come se avesse avuto il dono di capire all’istante le persone, addirittura meglio di loro stessi. Se uno gli diceva: “Voglio fare l’avvocato”, lui gli buttava lì una frase, condita da un’espressione del viso che poteva significare: “Ah bene, segui le orme di papà per non far troppa fatica. Ma sei sicuro che è questo quello che vuoi veramente?”. Faceva tutto con una sicurezza incredibile, come se ogni cosa fosse estremamente facile da fare. Ma evitava sempre di eccedere. Si lanciava ogni tanto in qualche acrobazia nel servire i clienti, ma con l’aria quasi di scusarsi della banalità del giochetto.
Con Paolo aveva un’intesa incredibile. Tutti e due erano informatissimi su ogni argomento e le loro conversazioni erano un effervescente palleggio che si faceva fatica a seguire, pieno com’era di rimandi a storie che solo loro conoscevano.
Francesco ne era vagamente irritato e non vedeva mai l’ora di portarsi via Paolo.
Anche quella sera li trovò intenti nei loro discorsi. Non sapendo cosa fare buttò lì la sua recente scoperta
“Hanno aperto un nuovo locale, a tre isolati da qui, dietro il lungofiume”
Gli sembrò che, per un attimo, un lampo simultaneo passasse negli sguardi degli altri due. Poi E gli chiese
“Ma dove? Nel suk?”
“Sì, proprio lì”, poi rivolgendosi a Paolo
“Sai c’ho trovato Giuliana. Dice se ci facciamo un salto, qualche volta”
Di nuovo un lampo, impercettibile.
Francesco restò un attimo impacciato, poi chiese a Paolo se aveva voglia di andare a sentire Paco.
Paolo gli batté la mano sulla spalla, alzandosi.
“Certo che ci andiamo. E andremo anche da Giuliana”


   vai al capitolo successivo

Nessun commento:

Posta un commento