Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

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sabato 13 novembre 2010

L'intruso [gianbarly]

Le mani scorrevano veloci sui tasti del computer, i dialoghi si componevano perfettamente, secondo quanto avevo in mente. Ero isolato in una specie di bolla che mi divideva dal resto del mondo. Stavo scrivendo proprio bene. Era uno di quei rari momenti in cui mi sentivo quasi un vero scrittore. Dentro di me desideravo ardentemente che quel momento non finisse mai. Stavo terminando la storia del Commissario Beretta ed ero veramente fiero del risultato.
In quel momento una finestrella impertinente salì dall’angolo in basso a destra dello schermo.
Ehi! Aspetta un momento!
Guardavo quella scritta e non capivo. Sembrava un messaggio di una chat, ma io non avevo una chat, non so nemmeno come si usa. Chi si era intrufolato nel mio computer?
Dai, non far tanto il meravigliato, sai benissimo chi sono!
“Chi sei?” mi venne da dire. Il bello è che lo dissi veramente ad alta voce.
Sono Gino e sono proprio incazzato con te
Non provai nemmeno a chiedere “Gino chi?”. Restai per un lungo momento immobile, con la bocca aperta, instupidito dall’ovvia realtà.
“Proprio Gino Beretta, il commissario?” riuscii infine a dire.
Certo che sono io! Complimenti per l‘acume, sì, sì. E scrivi pure dei gialli!
“Cosa vuoi da me?” Io continuavo a parlare allo schermo e, immediatamente la risposta saltava su dal solito angolino
Ah! Ma andiamo bene! Sì, proprio bene, non c’è che dire
Cominciavo ad alterarmi. Non mi piace quando qualcuno mi parla per enigmi.
“Su, dimmi perché mi cerchi!”
E vai con i rovesciamenti di ruolo! Caro il mio scrittore, vediamo di rimettere un po’ a posto le cose. Fino a prova contraria sei tu che hai cercato me
“Cioè?”
Non capisci, eh? Te ne vai in giro ad inventare personaggi e poi ti meravigli se esistono
“In che senso?”
Nel senso che non puoi inventare questo e quello, farli vivere nelle tue storie e poi non curarti di loro
“Ma è il mio mestiere! Cosa dovrei fare, mettermi un preservativo in testa ogni volta che vado al computer, forse?”
Forse sarebbe meglio. Insomma, ti rendi conto di cosa stai scrivendo su di me? Secondo te, che figura ci faccio io?
Quella risposta mi fece drizzare le orecchie. Istintivamente la mano destra mosse il mouse per cliccare sulla X di chiusura della finestra. Non potevo permettere che un mio personaggio cominciasse a interferire sulla mia libertà artistica. Per maggiore sicurezza mi scollegai anche da Internet.
Restai a guardare il monitor per alcuni lunghi secondi, indeciso se credere o no a quello che era appena successo.
Chi credi di essere, il Padreterno?” La finestrina salì ancora una volta dal fondo dello schermo. Esitai un attimo, poi spensi direttamente l’interruttore centrale del PC. Ora davanti a me avevo solo un grosso rettangolo nero. Tutto nero … tranne che per una piccola finestrina verde, in basso a destra.
"E’ inutile che ti affanni a spegnere il computer. E’ ora che parliamo un po’, noi due!
“O.K. Hai vinto. Ti ascolto”
Lo credo bene. Sei tu che mi hai fatto così. Duro e tenace. E ora capisci cosa significa, vero?
Temo che avesse ragione.
Ma mi hai anche fatto diventare una persona disgustosa, spregevole, un… come mi hai definito?... ah, sì, un PERVERTITO. Mi hai fatto fare cose che mi renderanno antipatico ad un sacco di gente
“Eh, no! D’accordo che mi costringi a parlare con te, ma non mi puoi cambiare così le carte in tavola! Non sono stato io a farti così…”
Cosa vuoi insinuare? Che tu non c’entri? E chi, sentiamo, chi mi avrebbe fatto diventare quel mostro?
“Bene, allora diciamoci tutto, fino in fondo. Quando ti ho concepito pensavo a te in tutt’altra maniera. Dovevi essere, nei miei desideri, un tranquillo commissario quasi arrivato alla pensione, un tipo normale, sposato, con figli, solo con qualche buffo tic, non so, qualcosa come passarsi di continuo la mano sulla testa pelata”
E perché non mi hai fatto così? Non sarebbe stato esaltante, d’accordo, ma sempre meglio di questo schifo
“Ma… è evidente… Sei stato tu!”
Io?
“Sì, tu. Ti sei rifiutato ostinatamente di farmi scrivere un solo rigo che ti riguardasse. Niente. Bloccato. Non un’idea, un’immagine che mi desse il via. Poi, quasi di colpo, quando stavo cominciando a disperarmi, mi hai fatto capire chi eri veramente. Ed allora tutto ha cominciato ad andare al suo posto. Ogni cosa ha assunto un senso compiuto. La storia ha cominciato a fluire, a prendere spessore. Pensa che io mai mi sarei immaginato di saper descrivere una persona riprovevole come te!”
Ma a chi vuoi darla a bere? Ora sarebbe colpa mia? Sarei io ad averti costretto a farmi così? Oddio, non ho mai sentito nulla di più ipocrita! Chi, se non tu, mi ha creato? Chi ha fissato sul computer, parola dopo parola, situazione per situazione, la mia vita, i miei pensieri, i comportamenti. Senti qui, te lo ricordi?: - Poi la raggiunse nel letto e cominciò a sodomizzarla. Lo faceva senza particolare foga, con metodica violenza, incurante del fatto che lei, dopo l’iniziale accondiscendenza, aveva cominciato a protestare, prima debolmente poi sempre più forte. Lui premeva su di lei con il suo corpo pesante e la bloccava scientificamente, in modo che non potesse divincolarsi. Lei urlò, con la bocca premuta sul cuscino, poi cominciò a piangere. Lui continuava ad andare avanti ed indietro ritmicamente, senza mai perdere il passo, ignorando tranquillamente le gocce di sangue che iniziavano a macchiare qua e là il lenzuolo bianco. – Chi ha scritto queste parole, chi le ha inventate, pensate, organizzate in frasi e scritte, se non tu? E non è finita, senti quest’altro passo: - Camminava in modo automatico, un corpo che si muoveva portandosi dietro un cervello svuotato, spento. – Sono anche un decerebrato, per caso?
“Beh, quest’ultima cosa è, in tutta evidenza, figlia di quell’altra. Non potendo sopportare il peso della tua natura, hai imparato a non pensare. Ma non voglio sottrarmi alle mie responsabilità, te lo giuro. Devi credermi quando ti dico che non l’ho fatto per mia volontà. Io ti volevo in altro modo, ma sei cresciuto così. E’ come con i figli, tu non ne hai, ma spero che mi potrai capire, perché uno li fa, sono carne della sua carne, il frutto suo e della sua compagna e, come tali, li vorrebbe in un certo modo. Immagina per loro un carattere, delle opportunità. Li crede in un certo modo e dice a se stesso, ogni giorno che passa e che loro crescono, che stanno venendo su proprio bene, esattamente come li voleva. Poi un giorno, per un episodio da nulla, si accorge che non è così, che loro sono differenti, che sono altra cosa rispetto ai suoi desideri. Se li ritrova cresciuti e non li riconosce. Pensava di averli educati, per esempio, ad amare il mare, come lui lo ama ed invece loro vanno pazzi per la montagna. Li voleva attaccati alla famiglia, legati agli affetti e si ritrova degli esseri liberi, refrattari al concetto stesso di radici. Completamente diversi da come se li era immaginati. E con questo non dico che, come genitori, non facciamo dei danni, anzi, questo è quasi certo. Ma li facciamo proprio perché non ci rendiamo conto fino in fondo che sono diversi da noi. Che non hanno bisogno delle nostre attenzioni nel punto dove noi invece le riteniamo indispensabili. Che, al contrario, sono deboli dove li pensiamo forti, e su quello ci rinfacceranno tutta la vita di non essergli stati d’aiuto.”
Vorresti insinuare che è solo colpa mia? Che sono io ad essere così, nonostante tu mi abbia voluto in maniera diversa?
“Sì, in effetti è proprio questo che volevo dire”
Un corno! Te la cavi troppo facilmente, tu! Ma non lo vedi, io in questo momento sto parlando con te e so essere ironico, piacevole, civile. Lo vedi tu stesso che non sono quel mostro che vuoi far credere!
“Certo, ma semplicemente perché ora sei controllato, in una situazione non particolarmente difficile. Per cui ti puoi permettere il lusso, diciamo, di mostrarti come una persona per bene. Ma noi scrittori siamo abituati (o costretti, se vuoi) a sottoporre i nostri personaggi alle situazioni più estreme, più tormentose per loro. In questo modo ne facciamo uscire la loro più nascosta natura. Credimi, tu sei esattamente come ti ho descritto e lo sei esclusivamente per colpa tua.”
Insomma, tu dici che io sono così. Bah! Dovrò rassegnarmi, a quanto pare.
“Temo proprio di sì.”
E sia. Ma dammi almeno un po’ di soddisfazione
“Sentiamo”
Vorrei che mi togliessi solo qualche curiosità. Per esempio, mi hai detto che non pensavi a me in questa veste
“Ti dirò di più. Non pensavo assolutamente di scrivere un giallo. In realtà ci sono stato tirato dentro da una serie di eventi”
E io sono venuto fuori così, con la faccenda del pervertito e tutto il resto
“Confermo”
Ecco. Questo mi interessa. Tu fino ad ora non avevi mai scritto cose così, diciamo, scabrose, è vero?
“Sì, è la prima volta”
E come ti sei sentito a farlo?
“Beh, è stato difficile, sì, molto difficile”
Difficile e doloroso?
“Sì”
Doloroso come? Ti posso fare un esempio, per vedere se ho capito? E’ forse come quando uno sa di dover fare una cosa che gli procurerà un grande dolore, non vorrebbe farlo, ma poi lo fa? Diciamo, come quando ti togli una garza che si è attaccata ad una ferita ancora aperta e sei impressionato sia dal dolore che da quello che potrai vedere?
“Sì, l’hai descritto in maniera cruda, ma perfettamente”
E dopo?
“Dopo?”
Sì, una volta che ti sei deciso
“Ma, ti dirò, è stato come un sollievo, una liberazione da un gran peso. In effetti poi tutto è venuto di getto, senza altri problemi”
E dimmi, come ti sono venute le idee? Voglio dire, se tu sei così distante da questo mondo e non ne hai, per tua ammissione, alcuna esperienza, come è possibile che ne scrivi con quella facilità che mi dici? Con tutti i dettagli, i risvolti psicologici propri di questi esseri abominevoli?
“Mah, credo che sia quello che si chiama essere scrittori”
Non credi invece che le cose possano essere viste da un altro punto?
Mi allarmai un poco.
Vediamo un po’. Dunque: tu non pensavi assolutamente di scrivere di perversioni e consimili. Sei stato indotto da altri ad occuparti di un certo Commissario. Hai provato a farne un’innocua macchietta ma non ti è riuscito. Poi, chissà come e perché, hai deciso di farne un concentrato di bassezze
Non c’è che dire, il Beretta era abile, ma dove mi voleva portare?
E scriverne ti è costato una grande fatica, un dolore profondo, come se avessi dovuto aprire una botola e scavare nel profondo del tuo animo. Ma poi, meraviglia! ogni cosa ti è venuta facile, liscia e completa, quasi come se ti fosse familiare, come se fossero state esperienze tue
“Cosa stai insinuando, bastardo?”
L’hai capito benissimo, perché il bastardo sei tu! Pensavi di pulirti la coscienza con la storiella dei figli che vengono su diversi. Ma guarda che non è così, non ti assolvere tanto facilmente. Loro guardano i comportamenti dei padri, quello che fanno e non ciò che dicono. Non li inganni dando loro dei precetti, devi-far-questo, non-devi-far-quello, Loro ti vedono come sei veramente, con tutte le contraddizioni del caso. E poi non ti meravigliare se vengono su male. Ed è lo stesso per noi personaggi. Siamo fatti della tua stessa materia. I nostri difetti sono i tuoi, le nostre miserie sono quelle che ti fanno tanta paura in te medesimo. Il Commissario Gino Beretta sei tu!
Non potevo più starlo a sentire. Presi il mio giaccone e lo buttai sullo schermo, in modo da coprirlo completamente. Quell’essere schifoso stava provando ad insinuarmi dei dubbi. A farmi credere di essere quello che non vorrei mai. Per assolvere se stesso metteva nella merda me.
Ma l’avevo fatto tacere, almeno fino a quando non avessi dovuto tornare al computer. Ora potevo rilassarmi, non avevo nulla a temere. A lui ci avrei ripensato con comodo l’indomani.



Domani, dopo aver affrontato la prova più difficile. Guardarmi allo specchio.

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