Le scale di Escher riprodotte col Lego |
Ma il punto che voglio affrontare non è questo, già magistralmente trattato da Sofri. Quello che mi ha colpito è la narrazione dell’ultimo tentativo, in ordine di tempo, per alleggerire il sovraffollamento delle carceri. La cosa è illuminante e vale la pena di seguirla passo passo.
Il governo di centrodestra, non potendo rifare un indulto (su cui aveva strepitato quando governava Prodi) ha ideato un provvedimento “svuota carceri”. Si trattava di consentire a chi ha meno di un anno di pena residua, di scontarla a domicilio. Questo ovviamente escludendo i reati più gravi.
Ottima cosa, liberiamo un po’ di posto e diamo un briciolo di dignità in più a chi sta finendo la sua pena. Lo accompagniamo nel suo percorso di re-inserimento sociale.
Peccato che:
- Per accedere a tale privilegio occorre avere un domicilio, cosa non scontata per detenuti in grandissima parte extracomunitari
- La pratica deve essere vagliata dal giudice di sorveglianza che deve accertare i requisiti
- L’assistente sociale deve verificare la situazione socio-familiare e dichiararla idonea
In conclusione sono i numeri del primo mese di applicazione a dirci della bontà della legge: 12 detenuti liberati in Lombardia, 2 in Emilia Romagna, 15 in Toscana, 30 nel Lazio e 34 in Campania. Risultato piccolo, come si può vedere. Meglio piccolo che niente, si può obiettare.
Peccato, ancora peccato!, che per riuscire a liberare questi pochi detenuti i giudici di sorveglianza e gli assistenti sociali siano stati ingolfati da migliaia di pratiche (che tutti ovviamente c’hanno provato!), rimanendo drammaticamente indietro nella concessione delle pene alternative che la legge normalmente prevede. Il saldo finale non ci è dato conoscerlo, ma è con tutta probabilità negativo: sono usciti meno detenuti di quanti potevano farlo senza questa legge. L’irrazionalità di tutto ciò fa il paio con quello che Medina descrive (deliziosamente) nel suo “Il paese dei centrini” riguardo alla Sanità.
C’è un problema di fondo che riguarda la classe dirigente di tutto il mondo, ma del nostro Paese in particolare: il governo della complessità. Di fronte a situazioni che richiedono una profonda conoscenza di meccanismi non semplici, invece di fare uno sforzo per identificare i vizi strutturali, i problemi di base che portano a situazioni di sofferenza e di ingiustizia, si preferisce agire superficialmente, con provvedimenti che “suonano” bene, che danno una patina di efficienza, di “governo del fare”. Si rinuncia a gestire la complessità a favore di azioni vendibili al mercato dell’informazione a consumo immediato, quella dei titoli strillati. Buona per essere snocciolata in un talk show, dove tutto si riduce a “Io ho ragione!” “No, hai torto!”. Senza il conforto di un’analisi seria e documentata dei risultati.
Questo è quanto passa il convento, ai tempi d’oggi.
Nessun commento:
Posta un commento