Della Robbia - Visitare gli infermi |
Finito il lavoro nel vicolo, ci eravamo incamminati verso l’ospedale. Il
pensiero di Giuliana ci opprimeva e volevamo starle vicino, per quanto
possibile.
Nella sala d’attesa della Terapia Intensiva trovammo gli altri. Sui lori
volti leggevamo la nostra stessa angoscia.
Le informazioni date loro dai medici
erano sconvolgenti: oltre alle fratture agli avambracci ed alle numerosissime
ecchimosi su tutto il corpo, aveva una frattura alla base cranica, un principio
di sfondamento dell’osso parietale destro, un’orbita gravemente danneggiata per
cui avrebbe perso sicuramente un occhio e numerose costole rotte. Una di queste
le aveva lesionato un polmone, provocandole un pneumotorace. Era in coma ed
alla domanda di quante possibilità avesse di riprendersi il medico aveva
allargato le braccia.
Non restava che attendere. Stazionavamo in quella stanza irreale come
immersi in un liquido denso, in un tempo sospeso, infinito. Ci muovevamo
pochissimo, con gesti lenti, evitando di parlare. Alla luce cruda dei neon
l’ambiente si rivelava un qualcosa di artificiale, inadatto ad ogni forma di
socialità. Ogni forma di calore umano era come assorbita dalle pareti bianche
ed immediatamente neutralizzata. Avevamo
in mente, tutti quanti, molte domande, ma nessuna voglia di tirarle fuori in
quel momento.
Ad un certo punto uscirono dal reparto due figure ripiegate, che si
reggevano a vicenda: i genitori di Giuliana. Solo la madre ci diede un’occhiata
faticosa, come a chiederci di non assillarla, poi li vedemmo scivolare verso
l’uscita.
La loro apparizione ci scosse un poco. Cominciammo a parlare fra noi,
dando la stura a quello che ci tenevamo dentro. Ognuno aveva qualcosa da dire,
quando l’aveva vista l’ultima volta, cosa si erano detti, ma chi se lo poteva
immaginare, cosa ci faceva in quel vicolo, di notte poi. Mi accorsi che forse
ero l’unico a sapere della sua vita notturna. Per gli altri lei era,
probabilmente, la scialba Giuliana di cui ci si accorgeva pochissimo, in
redazione.
Chi sarà stato? La domanda, fino a quel punto evitata, ci costrinse a
riprendere, almeno in parte, il nostro abito professionale. In fondo eravamo
giornalisti e TeleCittà era un’emittente molto sensibile ai problemi della
sicurezza dei cittadini. Non a caso era stata decisa su due piedi la diretta
non-stop. La linea editoriale della tele era tanto semplice quanto chiara:
grande interesse per i fatti locali e due bandiere da portare avanti sempre e
comunque: la delinquenza dilagante ed il degrado dei costumi. Non c’era fatto
di cronaca che non fosse sviscerato alla luce di possibili comportamenti che
potessero allarmare i nostri spettatori. In fondo, se Anna Maria aveva perso la
sua posizione per colpa di Pierfrancesco era proprio per l’importanza che la
tele dava agli episodi di delinquenza.
Chi era stato a ridurla così? Qualcuno azzardò l’ipotesi di un maniaco, o
di qualcuno conosciuto da poco, su qualche chat. Riccardo, stranamente quieto
in quell’occasione, gettò un’occhiata significativa verso la parete opposta
della sala d’attesa. Ci voltammo quasi all’unisono. In effetti non l’avevo
minimamente notato ma da quella parte c’era una persona che non faceva parte
del nostro gruppo. Era un uomo sui quarant’anni che si muoveva avanti ed
indietro con passo pesante. Sembrava roso da una rabbia tremenda, che pareva
sul punto di esplodere. Non dava segno di accorgersi di noi. Mi domandai come
faceva la dolce Giuliana a stare con uno così.
Proprio in quel momento il tizio si risolse a fare qualcosa. Andò alla
porta del reparto e bloccò un’infermiera che ne stava uscendo. A voce alta
disse che doveva vedere Giuliana, chiedendo che lo portassero da lei.
L’infermiera cercava di calmarlo e scuoteva la testa. Lui insisteva,
incalzandola con modi sempre più ultimativi. Arrivò un collega della donna che
in maniera calma, ma con grande decisione, gli spiegò che non era possibile in quanto –
per la legge – lui non risultava essere parente della donna. Lo pregò di avere
pazienza e lo convinse a ritornare al suo posto.
Facemmo qualche illazione a mezza voce, senza però la voglia di insistere
su quel tasto. Era già abbastanza imbarazzante la situazione in se, senza
doverci ancora mettere sopra l’ombra di un sospetto. Avremmo seguito il lavoro
della polizia, aspettandone i risultati.
Ad un certo punto arrivò Paolo. Fui felice di vederlo. Venne diritto
verso di noi e si informò brevemente della situazione. Ascoltava impassibile
quello che gli altri gli dicevano. Fece un paio di domande, poi cercò dove
sedersi. Io gli feci posto accanto a me.
Provai a chiedergli un’opinione, ma si limitò a sollevare le spalle. Mi domandai
dove fosse stato, fino a quel momento. Di sicuro era l’unico che non si fosse
precipitato al lavoro non appena raggiunto dalla notizia.
Intorno a noi ricominciò un sommesso chiacchiericcio. Paolo, al suo
solito, sembrava seguire ogni discorso ed ogni tanto buttava lì una parola.
Anche in questa occasione ero ammirato delle sue capacità. Pure a me davano
fastidio le chiacchiere vuote, fatte solo per dare aria alla bocca. Non mi
piaceva che qualcuno potesse cercare di farsi notare semplicemente sparando la
prima cazzata che gli veniva in mente. Soprattutto in un momento come quello.
Io però non sarei riuscito ad impedirlo. Mi limitavo ad ascoltare e, quando
riuscivo a dire qualcosa, le mie parole scivolavano via senza lascia traccia,
come se non le avessi pronunciate. I suoi interventi, invece, erano sempre
azzeccati e riuscivano a riportare su di un piano di realtà quelli che
divagavano troppo, tirando fuori ipotesi fantasiose o argomenti non pertinenti.
Paolo era perfettamente padrone della
situazione e cercava di mantenere il suo solito atteggiamento distaccato. Però
io che lo conoscevo bene mi accorgevo che era turbato. Riuscivo a vedere nei
piccoli dettagli del suo comportamento quei segni rivelatori di uno stato di
profonda agitazione. Pensai che si dimostrava così una persona sensibile,
partecipe del dramma che toccava la nostra collega. Ad un certo punto ricevette
un messaggino sul cellulare; diede un’occhiata infastidita al display e poi lo
cancellò con un gesto di stizza. Credo che nessun altro lo avesse notato, ma a
me non era sfuggito. Anche se non voleva darlo a vedere il mio amico Paolo era
stato profondamente colpito da quello che era successo.
vai al quarto quadro
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letto tutto d'un fiato...bello e coinvolgente
RispondiEliminaMolto coinvolgente, davvero.
RispondiEliminaCiao Gianbarly, sono contenta di rileggerti.
A presto!
Lara
Grazie Stef e Lara. Mi date lo stimolo per andare avanti. Sto lavorando alla prima scena del quarto quadro. spero di poterla postare presto.
RispondiEliminaLara, è bello risaperti fra noi. a presto!