H. Toulouse Lautrec - The bed |
Lourdes dormiva al mio fianco. Avevamo fatto l’amore con tutta
l’intensità di cui eravamo capaci, impermeabili a qualsiasi influsso esterno.
Ora la guardavo mentre, per la prima volta, si era lasciata scivolare nel
sonno. Di solito usavamo tutto il tempo a nostra disposizione per amarci e per
parlare, troppa era l’urgenza per poter lasciare scorrere i minuti senza far
nulla. Eppure non lo sentivo come un tempo perso. Osservavo i suoi lineamenti
così perfetti e venivo travolto dall’emozione. Stare insieme a lei era la mia
condizione naturale, non avrei più saputo farne a meno.
C’era di mezzo Paco, è vero, ma mi sentivo capace di venire a capo della
questione, anche se al momento mi sfuggiva qualcosa nel suo modo di comportarsi.
Erano settimane che se ne stava chiuso in casa, alle prese con la chitarra.
Dalle poche notizie che ne avevo, lavorava con una certa tranquillità, ma con
feroce determinazione, allo scopo di domare lo strumento. Continuava a smontare
e rimontare i pezzi, a provarne i limiti e a saggiarne la risposta in tutte le
possibili condizioni. Torturava le corde, tendendole fin quasi al punto di
rottura, per poi montarle sul corpo della chitarra e valutare il timbro del
suono che producevano. Batteva con le dita, e con qualunque cosa ritenesse
adatto allo scopo, sulle parti in legno, come se tanta cura potesse indurre il
materiale a dare suoni diversi da quelli per cui era stato costruito. Nel fare
questo lasciava a Lourdes una grande libertà. Non sembrava importagli di averla
vicina, anzi preferiva stare solo durante il giorno. Non aveva obiezioni al
fatto che lei uscisse e stesse fuori anche gran parte del tempo. Sapeva di non
essere di grande compagnia e le dava la libertà di trovare altrove il proprio
divertimento.
Non so se sapesse o sospettasse qualcosa di noi. Di sicuro non dava a
vederlo, anche se non sapevo se avrei retto a quelle sue occhiate che
sembravano passarti da parte a parte. Questo suo atteggiamento mi metteva in
grande difficoltà. Da una parte avevo ben chiaro quel che avrei dovuto fare per
chiarire la situazione una volta per tutte, dall’altra però ero frenato da
qualcosa che ancora mi risultava oscuro e che aveva a che fare proprio con il
suo modo di comportarsi.
In questo Lourdes non mi aiutava. Una regola implicita fra di noi era di
non parlare mai di Paco. Nè del nostro futuro. Mi amava, di questo ero certo.
Lei però non sembrava porsi domande rispetto ai due uomini che in quel momento
occupavano la sua vita. Aveva una straordinaria capacità di dare amore, con
trasporto e dedizione assoluta e lo dava – almeno così sembrava a me – in ugual
misura a tutti e due senza che le causasse alcun problema. La guardavo mentre
dormiva, osservando con emozione il ritmico sollevarsi ed abbassarsi del suo
petto, e la sua presenza mi appagava, permettendomi di rimandare ancora un poco
le mie scelte.
Qualche giorno dopo venni a sapere che Paco aveva ripreso a suonare.
Stava facendo le prove con il suo gruppo nel solito locale e presto avrebbe
ricominciato le serate. Decisi immediatamente di andare a trovarlo. Da quando
era iniziata la storia con Lourdes non l’avevo più visto e il locale mi
sembrava un posto sufficientemente neutro per sondare le sue reazioni.
Arrivai che stavano provando una canzone nuova. Gli altri due seguivano
con impegno il cantante che cesellava ogni particolare con la solita
meticolosità. Non parlavano mai fra di loro. Quando qualcosa non andava, Paco
semplicemente si fermava e riattaccava dall’inizio. Chi aveva sbagliato lo
sapeva e cercava di rimediare. Ai miei occhi sembravano rassegnati: conoscevano
Paco e quindi sapevano che ogni protesta sarebbe stata inutile. Meglio
continuare le prove fino a quando lui li avesse lasciati liberi.
La canzone parlava della bellezza del ritrovarsi. Di incontri, anche
casuali, a distanza di tempo fra persone unite da un qualche legame. Non
importa dove sei stato, diceva un verso, con chi hai vissuto. Non importa quali
tempeste abbiano gonfiato le tue notti, non contano i chicchi di grandine che
hanno scavato le rughe del tuo volto. Non importa se ho patito la sete atroce
del deserto o se sono stato travolto dall’onda di piena. Non voglio sapere, non
m’importa, cosa ci sia in fondo alla borsa con cui ti sei presentata, se sia
pesante d’oro o di rimorsi. Importa solo che ora tu sia qui, che il filo non si
sia spezzato. Che abbia retto agli insulti degli elementi ed alla corrosione
del tempo.
La voce di Paco mi affascinava. Lo guardavo pensando che ormai c’era
anche fra di noi un filo che ci legava. Mi sentivo fra quelli, pochi, che erano
riusciti a penetrare la corazza del suo carattere e di riuscire ad capire i
suoi modi bruschi. Gli volevo bene e credo che anche lui me ne volesse. Mi
trattava come se mi conoscesse da sempre, e questo bastava.
Finito il pezzo, i suoi compagni si scambiarono un’occhiata soddisfatta.
Non c’erano state interruzioni, quindi la cosa era a posto. Paco li ignorò
rivolgendo la sua attenzione a me. Mi arpionò con lo sguardo senza dire una
parola, restando assolutamente immobile per un lunghissimo istante. Poi mi fece
cenno di salire sul palco.
“Prova tu” mi disse, allungandomi la chitarra.
Restai a bocca aperta. Da ragazzino avevo preso delle lezioni e quindi ero
in grado di eseguire gli accordi più comuni. Avevo anche una discreta voce, ma
mai mi sarei sognato di misurarmi con lui. Cercai di negarmi, ma anche gli
altri due, divertiti, avevano preso ad insistere. Finii col cedere. Paco mi
mise davanti lo spartito di una delle sue canzoni più facili. Partii un po’
incerto ma piano piano presi coraggio, cercando di non sfigurare troppo. Paco
si era seduto in platea e mi guardava con aria torva.
Alla fine i suoi compagni mi fecero un piccolo applauso, commentando
positivamente la mia esibizione. Paco si alzò lentamente e mi venne vicino, mi
prese la chitarra dalle mani e me l’agitò davanti.
“Vedi, giornalista, che non funziona? Questa chitarra nelle tue mani non
vale niente!”
Cercai di protestare, ma mi zittì.
“No! Non funziona per niente, anche se fossi più bravo di me a suonare!
Non è questione di tecnica. Questa chitarra non potrà mai essere tua, anche se
te la regalassi. Tu non l’hai amata con l’intensità con cui l’ho amata io! Non
l’hai forgiata a poco a poco, con pazienza, con costanza. Non l’hai sottomessa
perché potesse dare il suono più perfetto!”
La sua voce era salita di tono.
“Sai cosa significa, vero? Che è mia, solo mia!”
Questo quadro l'ho apprezzato in modo particolare. Med
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