Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

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lunedì 19 dicembre 2011

Paco de luna - Terzo quadro 4 [gianbarly] Incontri


L'incontro - Clod

Avevo un disperato bisogno di riflettere. Intorno a me le cose si muovevano con una velocità impressionante ed io non riuscivo a capire con chiarezza quello che avrei dovuto fare.
Quel pomeriggio, approfittando dell’ennesima commissione che l’Antonia mi aveva affibbiato, mi ero preso una pausa. Non mi pesava la sua espressione di acida soddisfazione nei miei confronti che aveva da quando alla tele erano cambiati gli equilibri. In realtà la cosa mi lasciava indifferente perché non riuscivo a capire come una persona potesse cambiare così il proprio atteggiamento, mostrando più o meno simpatia per qualcuno in base ad astrusi equilibri di potere. Non mi capacitavo che qualcuno potesse dar peso a cose così meschine. Da parte mia mi limitavo semplicemente a fare il mio lavoro, schivando quanto più possibile le beghe interne alla redazione.

Mi pesava piuttosto il senso di frustrazione che mi stava attanagliando. Cercavo di mettere a fuoco il motivo di tanta insoddisfazione, ma con scarsi risultati. Espletata in fretta la commissione mi ero ripromesso di fare una passeggiata sul lungofiume, in cerca di un po’ di tranquillità. Avevo evitato appositamente la parte che ero solito frequentare e mi ero spostato verso i quartieri ottocenteschi, dove i grandi palazzi dalle severe facciate istoriate ed i giganteschi platani che si protendevano sul fiume mi avrebbero dovuto trasmettere un po’ di tranquillità. Invece ero agitato, non riuscivo a fermarmi a sufficienza su un singolo fatto. Avevo un terribile affollamento di pensieri e le immagini si sovrapponevano le une alle altre impedendomi di trovare un po’ di quiete.

Un improvviso rumore mi fece trasalire. Il rombo di una moto che decelera rabbiosamente mi fece voltare. Riconobbi al volo la Husqvarna  di E che era salito con noncuranza sul marciapiede e si stava fermando al mio fianco. Messo un piede a terra, E si sfilò il casco e mi guardò con il suo solito sorriso ironico. Istintivamente scrollò la testa per sistemare i suoi boccoli rasta. Debbo dire che così fasciato nella tuta di pelle, a cavalcioni del suo mezzo, sembrava proprio un cavaliere sbucato da una favola. Un angelo venuto dal cielo a proteggere i poveri mortali. Provai una fitta acuta.
“Eccoti qua” mi disse
“Ciao” risposi di controvoglia, aspettando.
Lui mi squadrò per un secondo, poi, come preso da un pensiero improvviso:
“Già che ci sei, sai mica dov’è Paolo?”
“No, non ne ho idea. Ma perché non lo cerchi al cellulare?”
“Già fatto” disse alzando le spalle “ma non importa”
Ebbi però la sensazione che invece gliene importasse e come. Era agitato, anche se cercava di non darlo a vedere.
Mi squadrò ancora e poi mi disse
“Via Franchino, ti lascio ai tuoi pensieri”
Si rimise il casco e si dileguò così come era venuto.

Il fatto che ancora una volta mi avesse letto così facilmente nel cuore, non fece che aumentare la mia agitazione. Ripresi a camminare cercando di scacciare l’immagine di lui in sella alla moto. Mi dava fastidio. Mi sforzavo di pensare a me stesso ed invece vedevo Paco alle prese con i drammi della sua arte, poi il bel volto di Lourdes che mi chiamava al mio dovere nei suoi confronti. Per cercare di spezzare quel circolo mi imposi di osservare con attenzione quello che mi stava intorno. Ero all’altezza del Circolo Canottieri. Dall’altro lato della strada un imponente palazzo color ocra risaltava su quelli vicini. Al di sopra del portone, due statue monumentali sorreggevano un bovindo. Alcune finestre erano aperte e lasciavano intravedere un ampio salone con i soffitti mirabilmente decorati. Mi domandavo se tanta magnificenza fosse di un privato o appartenesse ad una banca o qualche altra ricca società. Sulla mia sinistra il fiume si mostrava particolarmente tranquillo ed i canottieri stavano uscendo con i loro mezzi per gli allenamenti pomeridiani. Mi ritornarono in mente i giorni dell’alluvione, quando avevo cominciato a lavorare alla tele. Non era passato molto tempo da allora, ma mi sembrava di essere un’altra persona. Solo che non riuscivo a capire se migliore o peggiore. C’era qualcosa che non funzionava, me lo sentivo. Ero in collera con me stesso perché non riuscivo a identificarne il motivo. I miei pensieri continuavano a girare a vuoto. Osservavo quelli che facevano jogging sull’ampio lungofiume con le cuffiette d’ordinanza, chiusi in una bolla di tranquillità, dove il tempo era scandito dal battere ritmico dei piedi sul selciato. Provavo un po’ di invidia perché era quello di cui avrei avuto bisogno io, in quel momento. Fare jogging non mi era mai piaciuto, ma ora avrei dato non so cosa per una qualche attività fisica su cui concentrarmi in modo da sfuggire ai miei tormenti di cui non riuscivo a mettere a fuoco il motivo.

Ma il motivo, in carne ed ossa, mi si parò davanti all’improvviso.
“Sapevo di trovarti qui” mi disse Fimère squadrandomi severa.
Era comparsa dal nulla e mi si era piantata davanti con l’aria di chi non ammette repliche. Non provai nemmeno a mostrarmi sorpreso. Evidentemente ero una persona prevedibile, anche quando credevo di fare qualcosa di insolito, fuori dagli schemi.
Guardai senza dire una parola la sua bella figura che esigeva una spiegazione.
“Allora?”
Io una spiegazione non ce l’avevo. Preso così, alla sprovvista, non riuscivo nemmeno a valutare se e quanto mi piacesse. Provavo solo un senso opprimente di vergogna, la sensazione di aver fatto qualcosa di orribile, di averla ferita senza alcun motivo. La tensione sul suo volto ne risaltava la bellezza e mi diceva quanto lei fosse viva e determinata. Io invece ero totalmente passivo, incapace anche solo di scusarmi per non averla più chiamata. Per una frazione di secondo mi passò per la mente che avrei dovuto provare a reggere il confronto. Nella mia situazione E le avrebbe fatto capire con una mezza frase che, se non l’aveva più cercata, era perché non gli interessava. Se la sarebbe cavata da uomo. Quel pensiero non fece altro che aumentare il mio senso di vergogna. Cercavo di articolare una qualche parola ma non ci riuscivo.
Lei aspettò ancora qualche secondo. Per un tempo che a me sembrava infinito restò ferma, protesa verso di me in un atteggiamento di sfida. Poi iniziò a scrollare la testa mentre un’espressione di disgusto le si andava formando in viso. Alzò appena le spalle e poi si voltò lentamente allontanandosi senza fretta. Con me aveva chiuso.


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