Mio figlio, con cui parliamo spesso dei problemi che la sua generazione si trova ad affrontare, mi ha messo, un giorno, di fronte alla mia storia. Senza astio ma anche senza sconti mi ha detto che la mia è stata probabilmente la generazione più fortunata.
Sono nato negli anni Cinquanta (1954 per l'esattezza), a sufficiente distanza dalla fine della guerra per non sentirne più gli effetti nefasti, circondato dalla voglia di risorgere.
Ero bambino negli anni Sessanta, gli anni del boom economico, e sotto i miei occhi pieni di meraviglia l'Italia si è trasformata in un paese moderno. E' arrivato il frigorifero, la televisione, il riscaldamento. Le sfide della scienza che ci facevano sentire invincibili, fino all'apoteosi finale: vedere in diretta, con i propri occhi, l'uomo sulla Luna!
La mia gioventù si è snodata lungo gli anni Settanta, proprio quando i giovani sono stati protagonisti, quando il mondo, tutto quanto e tutto insieme, si è messo in discussione ed ha cercato una nuova identità. Erano gli anni degli ideali, delle possibilità infinite, dell'uomo nuovo. Gli anni incredibili della musica, quando ogni giorno ti incollavi alla radio per farti entrare dentro un nuovo capolavoro. Dal rock a De Andrè era un continuo susseguirsi di pezzi destinati a rimanere nel tempo.
Ero trentenne, l'età della propria costruzione, negli anni Ottanta, quando un benessere che non sapevamo essere vacuo (e, soprattutto, a spese di chi sarebbe venuto dopo di noi) ci ha consentito di avere praticamente tutto. Gli anni dell'edonismo reganiano, dove anche l'operaio poteva permettersi, una tantum, di comprarsi il maglioncino di cachemere.
Mi sono trovato quarantenne durante i Novanta, gli anni in cui la crisi ha cominciato a scavare, ma noi non ce ne accorgevamo, troppo intenti a raccogliere i frutti economici che ancora arrivavano copiosi nelle nostre tasche. Abbastanza moderno da saper approfittare delle opportunità offerte da Internet, dalla globalizzazione senza doverci costruire sopra il mio futuro.
L'unica cosa che non mi è riuscita, in effetti, è stata quella di andare in pensione negli anni Duemila, come è successo ad alcuni miei coetanei. Avrei potuto assistere al difficile cammino di chi è giovane adesso da una posizione di comodo.
Non so se debbo o no vergognarmi di tutto questo. In fondo non me lo son voluto, l'ho semplicemente subito. Però un tarlo lavora dentro di me e mi dice che una qualche colpa ce l'ho, se non sono stato in grado (assieme ai miei coetanei) di offrire ai miei figli almeno le stesse opportunità.
Anche su una eventuale colonna sonora sono indeciso. Fra My Generation e The Times They Are A-Changin farò così: ve li offro tutti e due.
Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.
Frammenti di vita..................Racconti & Poesie..................Paco de Luna..................Pensieri sparsi..................CONTATTI
L'unica cosa che non siamo riusciti a fare è stata quella di creare un futuro per i nostri figli.
RispondiEliminaDove abbiamo sbagliato?
Ciao e buona domenica,
Lara
Io penso, e vorrei dirlo a tuo figlio, che le "generazioni" non esistono. Esistono gli individui, e alcuni di loro decidono di farsi ingabbiare in queste preconfezionate categorie mentali. E infatti disprezzo quegli scrittorucoli che non fanno altro che confezionare disoneste menatine "generazzzzzionali", solo per vendere di più a determinati target di pubblico.
RispondiEliminaCosì come m'incavolo ogni volta che leggo sentenze su bellezza o bruttezza, ad esempio, degli "anni 80 musicali", come se davvero una canzone del 1981 avesse più cose in comune con una del 1989 che non con una del 1979...
Comunque, buona domenica sia a te che a lui! :)