Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.
Getto per l’ennesima volta un’occhiata distratta dalla finestra, poi torno senza fretta alle mie faccende. Il molle pomeriggio domenicale non offre distrazioni. Il caldo comincia a farsi sentire e non vedo l’ora di finire per poter tornare dabbasso, dove c’è più fresco. Un velo di sudore mi bagna la pelle, nonostante abbia indosso solo un corto vestitino di cotone.
Ci siamo. Come tutti gli anni, un brivido mi percorre quando guardo il calendario e mi accorgo che siamo arrivati a questo giorno. In bocca un gusto amaro, che sa di dolore, di ingiustizia, di follia, quella follia che porta qualcuno a diffondere le sue idee uccidendo chi si è scelto come nemico.
Me lo ricordo dov'ero quel giorno, me lo ricordo bene. Giorni davvero speciali per me. Era l'estate della maturità e un incredibile colpo di fortuna mi aveva consentito di festeggiarla alla grande. Un mio amico andava a trovare la sorella più grande che viveva in Svezia. Mi aveva chiesto di accompagnarlo. Così mi ero trovato a Goteborg, alloggiato precariamente in un appartamentino della Casa dello Studente, ma nella mitica Svezia, avanti anni luce rispetto alla nostra Italia arretrata e bigotta.
Me lo ricordo il momento preciso in cui l'abbiamo saputo. Come fosse ora. Eravamo tutti e quattro, io, Aldo il mio amico, sua sorella ed il marito di lei, nel piccolo salotto, intenti a chiaccherare. Il televisore era acceso, ma nessuno ci faceva caso. Di colpo il padrone di casa, l'unico che sapeva bene lo svedese, si è irrigidito, voltandosi verso l'apparecchio. Poi, subito dopo, ci ha detto: "Hanno fatto il golpe in Cile!".
Nelle ore e nei giorni successivi le notizie che non avremmo mai voluto sentire. La morte di Allende, le retate, i prigionieri nello stadio, le torture. La morte di Neruda. Le canzoni degli Inti Illimani che ci parlavano della tragica illusione di costruire un mondo nuovo senza fare i conti con le forze che lo avversavano.
Quell'undici settembre del 1973 ha messo la mia generazione, brutalmente, di fronte alla realtà. Chissà come sarebbero stati gli anni settanta qui in Italia se in Cile non fosse andata così.
Non crediate che con questa rievocazione voglia snobbare l'altro undici settembre. Tutt'altro. Ho un grande rispetto per il dolore degli americani. I loro morti valgono esattamente quanto quelli del Cile e di ogni posto al mondo dove si muore per la follia guerresca di qualcuno. Ho solo voluto dire che quello del 2001 non è l'unico undici settembre. Che, come ha detto Gino Strada, ci sono persone, esseri umani, per i quali è l'undici settembre tutto l'anno. Il loro calendario è fatto solo di sofferenza. Vorrei che in questa ricorrenza potessimo pensare anche a loro.
La colonna sonora di questo post non può che essere la meravigliosa "Gracias alla vida" della cilena Violeta Parra.
Venne risvegliato dal cigolio della porta che si stava richiudendo. Faticò a riconnettersi con la realtà, con quella realtà.
Si era addormentato appoggiando la testa sul tavolo. Un bicchiere di vodka ben stretto nella mano.
Poco più avanti, seduto ad un altro tavolo uno squallido individuo stava palpando il nudo deretano di una prostituta. Tutto intorno a lui un'umanità eterogenea era impegnata a dimenticare che il mondo si era dimenticato di lei. Risate si alternavano a gemiti soffocati e versi gutturali, tremori a sobbalzi e ammiccamenti, nel folle tentativo di esorcizzare i propri fallimenti esistenziali.