Devo fare pipì. Il pensiero mi
scuote dal sonno profondo in cui mi sono immerso sul far dell’alba. Sento la
vescica che mi scoppia, trattenuta solo dalla provvidenziale erezione
mattutina. Lotto per un po’ contro la spiacevole sensazione poi, come d’abitudine,
stendo il braccio verso l’altra metà del letto, ma ci trovo solo il freddo
delle lenzuola.
Non ho ancora voglia di
svegliarmi e mi sistemo più comodo cercando di afferrare di nuovo il filo del
sonno. Provo a rilassarmi ma è inutile, ho troppo bisogno di farla. Allora mi
alzo, senza praticamente aprire gli occhi. Sono deciso ad espletare la mia
funzione e ad rinfilarmi immediatamente nel letto. Vado al bagno seguendo le
vie dell’abitudine, alzo la tavoletta ed appoggio una mano al muro, mentre il
membro riprende lentamente la posizione di riposo. Ora sono fermo, in attesa. Un
pensiero mi lacera il cervello: lei non è nel letto.
Quando mi scappa così forte,
diventa un problema farla, il corpo ha fatto uno sforzo così intenso per
trattenerla che ora non gli riesce rilassarsi. Devo concentrarmi per spremere
le prime gocce e intanto comincio veramente a svegliarmi. Lo so che non c’è.
Apro finalmente gli occhi e
guardo in basso: la pipì continua ad uscire piano, con piccoli schizzi che
provoco contraendo i muscoli dell’addome. Sarà così fino a quando la vescica
non si sarà svuotata almeno in parte. Solo allora comincerà a fare il suo
lavoro. Quella stronza mi ha lasciato. Mentre il sonno svanisce e la mia mente emerge
controvoglia alla vita quotidiana, il getto della pipì comincia ad ingrossarsi.
Ora finalmente sento di
potermi rilassare, lasciando che la natura compia automaticamente le sue
funzioni. Un getto potente inonda il water ed io mi sento molto meglio. Un
brivido di piacere mi percorre la schiena, facendo scivolar via anche le
sensazioni spiacevoli con cui mi sono svegliato. Ma chi se ne frega se mi ha
lasciato. Me ne rido di lei, io.
“Mi fai ridere, stronza!” urlo
alle pareti del bagno mentre una strana allegria mi invade tutto il corpo. Ma
sì! Meglio così, non c’è dubbio. Mi metteva un’ansia, quella lì! Se ne è andata
dicendo che c’è in me qualcosa che non va. Muovo allegramente con la mano il
mio pisello bagnando le pareti interne del water.
“Ecco, ti pare che ci sia
qualcosa che non va, in me? Guarda, stronza, come funzionano bene i miei reni!”
Si è portata via i nostri
figli e questo mi dispiace. Di più, mi fa incazzare. Non doveva metterli di
mezzo, doveva lasciarli fuori. Invece me li ha messi contro, quella troia! Lei
non mi ha fatto male, quando se ne è andata. In fondo l’avevo capito che
sarebbe finita così, era troppo diversa da me, non sarebbe mai riuscita a
capire quello che ho dentro. Gretta e meschina come sua madre. Incapace di un
volo di fantasia, di vedere oltre ai semplici bisogni della quotidianità. Un
peso, che mi ha sempre impedito di volare veramente.
Però non doveva mettermi
contro ai miei figli. Loro sì, che mi hanno fatto male. Lo so io quanto ho
sofferto davanti allo sguardo imbarazzato di Luca e alla condanna senza appello
che emanava dal viso della mia Alice. Cazzo! Ma me li riprendo, lo giuro!
Sistemo le mie cose, ora che la stronza non c’è più, e me li riprendo. Glielo
faccio vedere, chi sono veramente io.
La pipì continua a sgorgare
potente dai miei lombi, senza accennare a diminuire d’intensità. Lascia che
sistemi due o tre cose che ho in sospeso, poi vedrai come cambia la musica. Lei
non c’ha mai creduto in me. Ma non sono un idiota, so quel che faccio. E quando
tutto sarà sistemato dovrà rimangiarsi ogni cosa e io mi riprenderò i miei
figli. Dovrà strisciare per terra, se vorrà rivederli; chiedermi scusa di tutto
quanto e implorare la mia pietà. Ma lei non la riprendo, questo no, è troppo.
Mi tengo i ragazzi e lei che vada pure al diavolo. Qualcosa che non va, come se
fossi malato. Rimpiangerà di averlo detto!
Ora sono perfettamente sveglio
e mi sento bene, tonico, pronto ad affrontare la giornata. Alla sensazione
dolorosa della vescica troppo piena si è sostituito quel sottile senso di
godimento che ti da una bella pisciata. Ma quanto l’ho trattenuta? E’ un sacco
di tempo che sto urinando a pieno getto e ancora non accenna a smettere.
Quant’è che sono qui? Guardo istintivamente il polso per vedere l’ora, ma non
ho l’orologio, l’ho lasciato sul comodino. Cavolo, ne avevo veramente tanta da
fare! Mi metto ad osservare il getto dalle infinite sfumature del giallo,
esaltate dalla luce del sole che entra di sbieco dalla finestra. Decido che è
il momento di smettere e faccio i consueti movimenti di quando si è terminata
la funzione, ma inutilmente. Il mio corpo reclama la necessità di continuare.
Sento come un brivido lungo la schiena, ma poi mi do dell’idiota. Probabilmente
sono andato un po’ lungo con la fantasia e, in realtà, non è poi così tanto che
sono qui. Lei me lo diceva sempre. “Ma cosa hai per la testa? Lo vedi che sei
sempre fra le nuvole e non ti accorgi di niente?” Sarà anche stato vero, non
dico di no. Ma quello che mi faceva male era il tono con cui lo diceva, mi
faceva sentire un idiota, inadeguato ad avere una famiglia e tutto il resto.
Non era più capace di rivolgersi a me con un tono gentile o almeno comprensivo;
ormai la sua voce mi feriva ogni volta che parlava. Meno male che se ne è
andata.
Intanto continuo a pisciare
con la stessa potenza di prima. Non sento quel senso di svuotamento che
invariabilmente arriva dopo un certo numero di secondi. Mi prende lo sgomento.
Secondi? Ma qua non sono secondi, saranno almeno dieci minuti buoni e ancora
non si decide a fermarsi! Mi guardo in giro smarrito, in cerca di una qualche
conferma. Faccio l’atto di andare in camera a prendere l’orologio, ma sono
costretto a restare lì, fermo davanti alla tazza. Se mi muovo allago di pipì il
pavimento. Oddio, cosa mi succede? Sono nel panico. Con una mano tengo
meccanicamente il pisello che continua a buttar fuori pipì come se non dovesse
far altro per il resto della vita. Non so cosa fare. Apro la bocca per urlare,
per chiedere aiuto, ma in casa non c’è nessuno. Che diavolo mi sta succedendo?
Non è possibile, non ha alcun senso. Tutti, quando fanno pipì, dopo un po’
smettono. Potrà durare qualcosina di più, se hai bevuto tanto. Per esempio
della birra. Ma io non ne ho bevuto ieri sera e nemmeno troppa acqua, che mi
ricordi. Cerco di calmarmi, di fare qualcosa di razionale. Allora, vediamo. Do
un’occhiata al getto ma poi distolgo immediatamente lo sguardo perché sento il
terrore che mi assale di nuovo. No, devo essere concreto. Questa cosa non è
possibile, forse sto sognando. O semplicemente la mia mente ha dilatato il
tempo che è trascorso da quando sono venuto qui. Sì, sono stati i miei pensieri
a farmi credere che la cosa duri da così tanto tempo.
Faccio un respiro, profondo.
Ora lo cronometro, anche senza orologio. Comincio a contare ad alta voce,
scandendo bene le parole.
“Milleuno, milledue,
milletre…”
Ho letto una volta che questo
è il metodo che usano i soldati per essere sicuri di scandire i secondi.
Arrivato a millecinquanta cedo
di colpo e comincio a piangere. Cazzo mi sta succedendo? Da dove viene tutta
questa pipì? Cosa faccio adesso? Sono qui, inchiodato davanti ad un water,
senza poter far nulla. Vorrei che ci fosse lei, almeno. No, forse non è una
buona idea. Mi guarderebbe con disgusto, dicendomi “Ecco, te ne sei inventata
un’altra!” e io mi sentirei un idiota, come se fosse veramente colpa mia.
Però devo fare qualcosa, non
posso restare ancora qui con il pisello in mano. Mi serve un contenitore, un
secchio o una bacinella, per potermi spostare. Qui in bagno c’è solo il
bicchiere degli spazzolini. Troppo poco. La bacinella è giù, due piani più
sotto, in lavanderia. Bella fregatura avere una casa grande. Lei me lo diceva,
che era troppo grande per noi. Fanculo! Poi, tanto se la prende la banca. Sicuro
che se la prende. Quante volte ho dovuto sentire il ritornello. Ma ora lei non
c’è più e io devo arrivare fino alla bacinella senza allagare tutta la casa.
Provo a stringerlo con le
dita, come si fa con un tubo. Con uno sforzo riesco a ridurre quasi a zero
l’uscita del liquido giallo, ma un dolore insopportabile mi preannuncia l’imminente
esplosione della vescica. Devo mollare, non è questa la strada. Allora prendo
freneticamente l’asciugamano, lo giro velocemente intorno al membro, lo premo
più forte che posso sul ventre e comincio a correre disperatamente verso il
basso. In pochi secondi la spugna si impregna completamente ed inizia a
gocciolare. Merda! Una striscia bagnata si stende lungo le scale. Arrivo alla
meta e posso finalmente urinare normalmente dentro alla bacinella. Ora devo
muovermi, fare in fretta. Il telefono, devo arrivare al telefono per chiamare
il dottore.
Muoversi con una bacinella che
si riempie non è affatto semplice. E poi si deve anche stare attenti a farcela
dentro, con il coso che sembra farlo apposta a muoversi in continuazione. Per
fare pochi metri ci metto una vita. Finalmente arrivo dal telefonino. Appoggio
con delicatezza la bacinella per terra e allungo la mano per prenderlo, sempre
controllando che il getto non vada di fuori. Ce l’ho! Ora però devo riprendere
la bacinella e andare verso il bagno, perché ormai è quasi piena. Il liquido
oscilla paurosamente sfiorando ogni volta i bordi. Facendo piccoli passi veloci
riesco in qualche modo a raggiungere il bagno e a versare la pipì nel water.
Assieme al telefonino.
Lo guardo sgomento incastrarsi
nella curva del cesso mentre continuo mio malgrado ad orinargli sopra.
“Sai cara cosa ho fatto? Ho
disdetto il telefono di casa. Tanto abbiamo i cellulari, a cosa ci serve? Un
bel risparmio, non credi?”
“Sarà …”
Resto così, instupidito, per
lunghi momenti. Alla fine è una sete mostruosa che mi scuote. Devo bere,
assolutamente, subito. Riprendo la bacinella ed inizio un nuovo balletto.
Arrivo in cucina e mi scolo una bottiglia da due litri. Intanto la bacinella è
di nuovo piena. Non ho tempo di tornare fino al bagno. Ma sì, chi se ne frega:
la svuoto nel lavandino. Lo so che non si fa, che lei non vorrebbe. Ma che ci
posso fare, cristo? Vorrei vedere lei nella mia situazione. Ma poi perché
faccio tanti sforzi per non sporcare? Ne vale la pena? Quasi quasi mi metto ad orinare
direttamente nel lavandino. Ci ho tenuto tanto alla casa, a questa casa. E’
stata il simbolo del mio amore per lei, la prova solida ed indistruttibile del
nostro amore. Comincio con decisione a pisciare direttamente sulle stoviglie. Sì! Le sto lavando
con la pipì! La bella casa a cui ho dedicato tante cure. Tanto se la prenderà
la banca, è solo questione di giorni. Allora continuo a pisciare direttamente
sul pavimento, muovendo in larghi gesti l’uccello, ora a destra ora a sinistra.
Arraffo un paio di bottiglie e mi sposto in salotto, bagnando tutto quello che
mi capita a tiro. Annaffio i suoi soprammobili, le piante nei vasi, il tappeto
che ci ha regalato sua madre. Alzo il tiro per benedire i quadri alla parete,
tanto non mi sono mai piaciuti.
Ma sì! Mi piace inondare di
liquido giallo tutto quello che mi è appartenuto. Lo vuole la banca? Se lo
prenda, piscio compreso! Apro i cassetti e li riempio, osservando ipnotizzato
la cascata che dal più alto si riversa su quelli di sotto e poi giù fino al pavimento.
Bevo e piscio, piscio e bevo.
Devo marchiare tutto con i miei umori. Devo distruggere ogni cosa, corromperla
con questo dono che oggi il cielo mi ha dato. Finalmente ci vedo chiaro, sì! Mi
muovo frenetico per ogni angolo, non devo lasciare nulla di intatto. Che venga
la banca, che venga anche lei a pigliarsi questo ben di dio che esce potente
dal mio corpo! Salto sul tavolo, rovescio la consolle e piscio anche su quella.
Corro su nelle camere per inzuppare i letti e l’armadio quattro stagioni poi riscendo
di corsa, inseguendo un pensiero: la dispensa! Mi ero dimenticato della
dispensa, perdio.
Sono esausto. Afferro
l’ennesima bottiglia da due litri e mi lascio cadere sul divano. L’odore acre
dell’ammoniaca comincia ad ammorbare l’aria chiusa del salotto. In un attimo
sento che il liquido caldo ha impregnato completamente l’imbottitura. Chiudo
gli occhi e mi concentro sulla fantastica sensazione che mi da l’uccello
nell’emettere quella straordinaria quantità di urina. Resto così per un tempo
infinito, assaporando la mia rivincita. Ora i miei pensieri sgorgano lisci,
come la pipì che continuo a fare. La casa è persa, inutile piangerci sopra. Ma
a lei non la do a vinta. Ho delle risorse, io; mi bastano un paio di telefonate
e mi rimetto in carreggiata. Nel giro di sei mesi, un anno vado dalla banca e
mi riprendo tutto. Anzi no, che me ne frega, mi riprendo solo i ragazzi e ce ne
andiamo a vivere da un’altra parte, magari viaggiamo per il mondo, loro ne
sarebbero felici, lo so.
Ora però devo pensare a questa
cosa. Non potrò andare avanti così per molto. La sete mi costringe a bere
quantità enormi di acqua. Devo andare dal dottore, o al Pronto Soccorso, Sì,
forse è meglio il Pronto Soccorso. Mi faccio rimettere in sesto e poi via,
verso il futuro!
Mi vesto in fretta e, mentre i
pantaloni mi si appiccicano alle cosce, esco di casa con le braccia cariche di
bottiglie e vado alla macchina ignorando la vicina che mi guarda con gli occhi
fuori della testa. Se non avessi le mani impegnate farei una pisciatina anche
su di lei, garantito.
Per la macchina mi spiace un
po’, ci sono affezionato ma d’altra parte è vecchia e prima o poi andava
cambiata. Guido nel traffico con i piedi affondati in un lago di piscio. Ogni
tanto afferro una bottiglia e bevo lunghi sorsi d’acqua. Il traffico è lento,
ci metto una vita a fare qualche chilometro. Ma non si arriva mai, cazzo! Ora
siamo fermi del tutto. Ne approfitto per bere di nuovo. Si riparte, ma solo per
pochi metri. Comincio ad innervosirmi, non riesco a star fermo, le mani mi
ballano sul volante.
Passano i minuti e sono sempre
qui. Ho quasi finito l’acqua. Stizzito mi attacco al clacson, prendendomi gli
accidenti di quelli che mi passano accanto a piedi. Inutile, la fila non si
muove, io non posso aspettare, devo andare all’ospedale, lo volete capire? Apro
il finestrino e urlo a quello davanti di farsi da parte rimediando un bel paio
di corna. Esco dalla macchina per dirgliene due ma ci ripenso e rientro prima
che mi veda in questo stato. Cazzo, ho una dignità, io!
La sete mi tormenta, ho finito
le bottiglie. Quanto potrò resistere senza bere? Provo di nuovo a suonare.
Inutile. Devo bere, ho troppa sete. La lingua mi si sta ingrossando e non
riesco quasi più a parlare. Se almeno ci fosse lei, saprebbe cosa fare. Cazzo,
perché mi ha lasciato? All’angolo davanti a me c’è un negozio di alimentari.
Esco dalla macchina ed entro per chiedere dell’acqua. Con un balzo il
proprietario mi è addosso e mi spintona fuori.
“Ho sete” cerco di dire.
“Vergognati, disgraziato!” mi
urla lui spingendomi fuori. Cado sul marciapiedi senza più la forza di alzarmi.
La gente mi evita con mormorii di disgusto. Protendo le mani per fermarli, ma
loro girano al largo, allungando il passo per non finire con le loro belle
scarpe nella mia pipì.
Ora comincio ad avere dei
dolori fortissimi che mi squassano le viscere. I miei reni sono esausti,
stremati dal superlavoro. Ho bisogno di bere, un disperato, impellente bisogno
d’acqua. Cerco freneticamente di farmi capire da qualcuno. Gli automobilisti in
fila mi osservano e commentano fra di loro come davanti ad uno spettacolo.
Cerco di strisciare via ma sono troppo, troppo debole. Appoggio la schiena al
muro e mi lascio andare. Non penso più a niente, non ne ho la forza. Resto solo
ad osservare il rivolo che continua ad uscire imperterrito dal fondo dei miei
pantaloni. Non è più giallo ma rosa. Di un rosa via via più intenso. Striature
rosse di sangue si mescolano all’urina.
Resto lì, seduto su un
marciapiede ad osservare la mia vita fuggire, portata via da un flusso
ininterrotto di piscio.
Guardami, Lucia. Dove sei
amore mio?
Molto particolare, complimenti! Mi è piaciuto davvero tanto :)
RispondiElimina