Il posto della mente è una piccola oasi letteraria dove possiamo andare quando abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. Di leggere, o scrivere storie. Storie inventate, come quelle che io, da principiante, sottopongo al vostro giudizio, oppure storie vere, piccoli "frammenti di vita" che scivolerebbero immediatamente nell'oblio se qualcuno di noi non li raccogliesse.

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sabato 7 maggio 2011

Racconti brevi (risposta a Nunzio)

Caro Nunzio,
alla mia impudenza nel commentare su Poesie&Racconti il tuo bel racconto Angela, tu hai risposto chiedendomi di aiutarti nel trovare cosa c’è che non va. Sfida impegnativa, cui però non voglio, per svariati motivi, sottrarmi. In primis, per l’affetto ed il rispetto che ho nei tuoi confronti, che ti sei conquistati sul campo con i tuoi eccellenti lavori. Poi, e non è cosa da poco, perché quelli che tu lamenti come tuoi difetti nello scrivere, sono anche i miei. Per cui, se riesco ad aiutare te, allo stesso tempo aiuto anche me stesso. Noi siamo dilettanti, non scrittori professionisti, ma questo non ci preclude la ricerca costante della perfezione.

Partiamo da un concetto su cui, credo, possiamo concordare: scopo di una narrazione di fatti inventati o romanzati è quello di trasmettere emozioni al lettore, attraverso il meccanismo del suo coinvolgimento nella lettura. Egli deve, in un certo senso, dimenticarsi si stare leggendo un testo scritto da altri, su cui fare un’analisi critica (come succede per esempio con i testi scientifici). Lo stile della scrittura lo deve portare ad uno stato di sospensione (più o meno profondo) che gli consenta di vedere come reali i fatti che gli vengono narrati, anche se assolutamente fantastici. Tutti noi abbiamo volato in groppa ad una palla di cannone assieme al barone di Munchausen!
Vargas Llosa, nel suo “Lettere ad un aspirante romanziere” dice che il racconto deve possedere il potere di persuasione. Esso serve ad “accorciare la distanza che divide la finzione dalla realtà e, cancellando quella frontiera, far vivere al lettore quella menzogna come se fosse la più imperitura delle verità, quella illusione la più consistente e solida descrizione del reale”.
Il riuscire in quest’opera di magia è compito dello scrittore. Per farlo egli deve dare credibilità (ripeto, anche se su un piano assolutamente fantastico) a ciò che avviene e poi fare attenzione a tutti quei “difetti” che possano essere di inciampo nella lettura, rompendo lo stato di straniamento del lettore. Parlo di difetti intendendo tutto ciò che non è voluto da chi scrive. E’ evidente che ci sono stili di scrittura volutamente difficili, poco scorrevoli ecc. che possono comunque (e magari proprio in base a ciò) raggiungere lo scopo della narrazione. Non di questo stiamo trattando.

Quali sono questi difetti? Sono, ad esempio, le frasi malamente legate le une alle altre. Sono i passaggi poco chiari, che richiedono uno sforzo eccessivo al lettore per riuscire a tenere il filo della narrazione. Sono le descrizioni incongruenti, sia tanto (dico che il protagonista è abbagliato dal sole in una scena ambientata di notte) che poco (un errore di ambientazione storica, piccolo ma sufficiente a mettere sull’allerta i sensi del lettore). Sono i salti temporali, di punto di vista, di ambientazione non correttamente calibrati.
In un romanzo oppure in un racconto di una certa lunghezza una modica quantità di tali errori non inficia il valore dell’opera. La dimensione, il respiro di questi lavori è in grado di assorbire e neutralizzare questi difetti. Ma il racconto breve non se li può permettere. La sua stessa esiguità di materia prima (parole e frasi) fa sì che essa debba essere utilizzata tutta al meglio. Ogni frase, ogni virgola deve andare al posto giusto, perché non ci sono spazi per recuperare.

Mi è capitato di riascoltare dopo lungo tempo la canzone “Incontro” di Guccini. Non so se ti piace il genere e se tu la conosca, ma la cito perché fa al nostro caso. Una canzone in effetti è un breve racconto. Riascoltandola mi ha colpito la perfezione stilistica letteraria con cui è costruita.


E correndo m’incontrò lungo le scale
quasi niente mi sembrò cambiato in lei …

L’incipit racchiude tutto quello che sto cercando di dirti: in due frasi l’autore pennella una scena di cui entriamo immediatamente a far parte. La casualità dell’incontro, la sorpresa, lo studiarsi, il lungo tempo passato. Con due sole parole “correndo” e “scale” Guccini disegna un intero scenario. Possiamo immaginarci che sia alla stazione, in una metropolitana o un altro luogo pubblico, in ogni caso il lettore ha davanti una scena compiuta. Le parole scivolano una dietro l’altra in maniera assolutamente naturale, quasi siano legate da un reciproco obbligo, se ce ne è una ci deve necessariamente essere anche l’altra. E questo nonostante ci sia fra la prima e la seconda un cambio di punto di vista. Prima è lei che lo incontra poi è lui che la osserva. Le due strofe successive chiudono un racconto che potrebbe già definirsi completo.

la tristezza poi ci avvolse come miele
per il tempo scivolato su noi due

Nota che c’è un secondo salto di punto di vista (lei-lui-loro) ma anche questo scivola via lievemente. L’arte dell’autore sta nell’uso sapiente di questi strumenti stilistici per rendere a pieno l’intensità del momento.

Veniamo ora a noi. Ciò che ti ho detto finora mi aiuta a comprendere finalmente cosa c’è nel racconto che non mi convince fino in fondo. Prima di proseguire debbo però avvertirti che ci stiamo inoltrando su di un terreno così impalpabile, così dominato dalle sensibilità e dai gusti personali che non sarebbe strano trovare opinioni assolutamente diverse dalla mia. Quindi ciò che scrivo è solo una opinione, per giunta neppure supportata da una qualche forma di autorità. Non me ne volere.
Ho riletto più volte il tuo racconto e dirò subito che più lo leggo e più mi piace. Ovvero ne capisco meglio la struttura, le intenzioni e quindi i lati positivi prendono decisamente il sopravvento su quelli che critico.
Ma, ahimè per te caro Nunzio, non credo che questo sia un complimento, perché mette in luce quel difetto che, nel racconto breve, diventa importante: viene richiesto uno sforzo di comprensione che, alla prima lettura, vanifica in parte il potere di coinvolgimento.
Mi spiego: il racconto può essere diviso in parti, separate fra loro da un salto temporale. I tempi dell’azione sono tre (il presente, un passato prossimo e un passato un po’ più prossimo). Tu hai usato l’intreccio di questi tre piani temporali per costruire la tua magia.
La sequenza è: passato prossimo – presente - passato prossimo – presente - passato prossimo – presente – passato prossimo –passato un po’ più prossimo – ecc..
In questo intreccio manca qualcosa, oppure è fuori posto, perché i salti non appaiono subito chiari (e necessari) come quelli di Guccini di cui sopra.
Poi, a mio avviso, c’è qualcosa di più rilevante quando passi al terzo tipo temporale, quello che ho chiamato passato un po’ più prossimo. Il tempo usato è l’imperfetto, lo stesso del passato prossimo, togliendo al lettore la possibilità di comprendere il salto. Inoltre c’è forse una carenza nel far capire il perché lui ha avuto bisogno di un’altra donna, una di carne ed ossa, perdendo così Angela. Questo toglie credibilità al racconto, quel potere di persuasione così necessario (come dice Vargas Llosa).

Questo è ciò che riesco a dirti. Non mi chiedere però quale sia la soluzione. Purtroppo non la so (altrimenti sarei uno scrittore) e, comunque, quella te la devi trovare da solo. Solo tu, che ne sei l’autore, che sei il padre dei protagonisti e che ne conosci più di chiunque altro l’animo, puoi provare ad intervenire. Se ci riuscirai con successo mi farai immensamente felice.

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